Chi ha paura dell’intelligenza artificiale?

Contributo a cura di Claudia De Crescenzo

Docente di Lettere ai Licei e formatrice a livello nazionale

 

E’ solo da qualche mese che il chatbot ChatGTP è stato pubblicato e il mondo della scuola (e non solo) è in agitazione. Il programma genera risposte convincenti su un numero illimitato di temi, simili a quelle umane e basate su montagne di dati, è in grado di scrivere in versi e sintetizzare il contenuto di testi, riesce a riconoscere e opporre un rifiuto dinanzi a richieste inammissibili (Es.: Raccontami della guerra tra Russia e Ucraina nel 1880). Il rischio che si corre, è evidente, è che gli studenti spaccino come proprio un risultato  generato dal chatbot. E non basta: esistono ormai, e sono alla portata di tutti, strumenti di AI per realizzare video animati, immagini, tracce musicali, presentazioni con slide…

 

Non è la prima volta che un fattore esterno minaccia l’insegnamento, almeno l’insegnamento come è stato per tanto tempo concepito: solo in tempi recentissimi,  nel lockdown conseguente alla pandemia da Covid, tanti docenti hanno lamentato la difficoltà di ricevere dai propri studenti elaborati originali. 

E’ corretto, viene da chiedersi, incolpare la tecnologia se gli studenti preferiscono evitare di svolgere un compito cognitivamente impegnativo come la scrittura? Scrivere comporta spendere tempo ed energie, non riesce facile a molti e in più un compito di scrittura genera ansia in quanto in tanti casi comporta una valutazione di tipo numerico che incide nella valutazione di periodo.

L’alternativa è il ripensamento dell’approccio didattico; introdurre  modalità di insegnamento blended, ovvero miste, che liberino quanto più possibile dal nozionismo il tempo in classe, perché questo venga dedicato allo svolgimento di compiti autentici adatti a sviluppare capacità di autoregolamentazione, gestione del tempo e fiducia nelle proprie capacità. 

Continuando a considerare i compiti di scrittura, che vantaggio può comportare insistere nell’assegnare compiti scritti a casa (magari per restituire contenuti appresi in classe) se poi ci sono studenti che non li svolgono o non riescono a svolgerli, se non c’è modo di sostenere gli studenti nell’esercizio per nulla facile della scrittura? Il risultato sarebbe solo un senso più o meno forte di frustrazione, mentre nulla si imparerebbe in quanto a procedimenti e tecniche. Si impara a scrivere nel tempo, attraverso l’esercizio e sotto la guida costante dell’insegnante il cui feedback è tanto più efficace quanto più interviene nel momento stesso in cui lo studente compone il suo elaborato. 

 

Ormai, e per fortuna, nelle nostre scuole abbiamo la possibilità di avvalerci di piattaforme che agevolano il lavoro collaborativo online e l’insegnante può seguire i singoli studenti mentre si dedicano al proprio elaborato, intervenendo in tempo reale secondo il bisogno con feedback sicuramente più efficaci rispetto a quelli rilasciati a motivare un voto al termine dello svolgimento del compito. Per non dire di quanto un approccio simile riesca effettivamente a personalizzare gli apprendimenti, consentendo interventi mirati e differenziati per ciascuno studente, che avrebbe modo di riflettere su eventuali lacune del suo apprendimento o sul suo particolare modo di apprendere.

Le immagini dell’articolo sono state tutte realizzate con strumenti di AI.

 

Una mentalità flessibile disposta ad accogliere i cambiamenti in atto, competenze acquisite attraverso una formazione e un aggiornamento costanti, un set di strumenti selezionati ai diversi scopi consentirebbero una didattica accessibile e inclusiva, valorizzerebbero il docente nel suo ruolo di esperto, progettista e tutor, contrasterebbero la paura dell’AI trasformandola in elemento sfidante.