Numeri e voti nei sistemi scolastici: il digitale ci salverà o no?

Contributo a cura di  Daniela Di Donato
Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.

 

Una delle preoccupazioni più diffuse a scuola oggi è la valutazione, anzi il voto. Si tratta di un tema controverso, sul quale tornano ciclicamente e a turno le perplessità prima delle studentesse e degli studenti, poi delle famiglie e naturalmente anche dei docenti.

Uno dei portali più seguiti dagli studenti sul web dà alcuni consigli su come superare l’ansia da brutto voto: consiglia di evitare rabbia, sconforto, delusione, panico da insufficienza (o addirittura da pagella), paura di non riuscire a dirlo ai genitori, paura di riuscire a dirlo ai genitori. Insiste sul fatto che il voto non dice nulla di chi sei, al massimo dice qualcosa della tua preparazione o della tua prestazione. Consiglia di parlare col professore definendolo “il nemico numero uno”. Portare a casa un bel voto è l’obiettivo. Certo quando dieci anni fa con il Decreto Legge 95 del 2012 è entrato nelle scuole il registro elettronico, il numero come strumento regolatore ha subito un significativo rinforzo, che ha influenzato parecchio la percezione della valutazione da parte dei docenti e delle famiglie. Oggi ogni studente può tenere sotto controllo la propria media e questo monitoraggio continuo sembra essere pervasivo e compulsivo, almeno quanto il controllo della chat di Whatsapp.

In questi mesi, soprattutto dopo la pandemia, si è discusso molto dell’impatto del voto sulla motivazione e sulla didattica. Nel 2020, in pieno lockdown, è piovuta sulla scuola primaria la trasformazione del voto in valutazione descrittiva e questo sembrava voler essere premessa ad un ripensamento generale, che a cascata sarebbe ricaduto anche sulla scuola secondaria, orfana dei giudizi da più di quindici anni ormai. Così non è stato: la possibilità di ripensare il ruolo del voto come principale comunicatore del livello di apprendimento raggiunto in un percorso è stata un po’respinta al mittente.

Guardando però a quello che accade alle scuole del vicinato europeo, si può constatare che non tutti utilizzano l’attribuzione numerica come indicatore e anche chi usa i numeri ne fa una lettura diversa dalla nostra: in Svizzera si va da un minimo di 1 ad un massimo di 6; in Austria la votazione va da un massimo di 1 ad un minimo di 5 e la sufficienza corrisponde a 4. Si assegna la promozione se la media di tutte le valutazioni è di 1.5 e nessun voto inferiore a 3. In Russia è il contrario: la votazione va da un minimo di 1 ad un massimo di 5 ed è espressa in cifre. L’insufficienza corrisponde al 2, il 3 è la sufficienza, il 4 è un voto alto. In Germania i voti vanno da 1 ovvero il voto massimo, a 6, che corrisponde ad una insufficienza. In Ucraina la votazione va da un minimo di 1 ad un massimo di 12 secondo il livello di competenze, mentre in Bulgaria la scala esclude l’1 e arriva al 6 e in Polonia l’uno è compreso. In Repubblica Ceca sono usati i voti da 1 a 5 ma, diversamente dagli altri stati, il 5 corrisponde all’insufficienza. La Francia si sposta oltre il 10 come valutazione massima: si va generalmente da 0 (voto minimo) a 20 (voto massimo) e la sufficienza si raggiunge con il 10; alcune scuole utilizzano il sistema da 0 a 10.

La narrazione numerica del voto in Europa è intricata e disomogenea e possiamo certamente affermare che la nostra scala è solo una delle molte possibilità e neanche la più precisa. Se usciamo dall’Europa e ci spostiamo nei paesi come gli Stati Uniti o il Canada la votazione si basa sulle lettere dell’alfabeto, e ogni lettera corrisponde ad una percentuale: per esempio le lettere “D” e “B” corrispondono rispettivamente al 60/69% e all’80/89%. La lettera che esprime la massima valutazione è “A”, mentre quelle che esprimono una valutazione insufficiente sono E ed F. Stesso sistema troviamo in molti paesi asiatici: Afghanistan, Iran, Kazakistan, Libano, Malaysia, Pakistan e perfino in Nepal. Il principale vantaggio è vedere scomparire la media aritmetica, che nulla restituisce del percorso, anzi: appiattisce al centro ogni variabilità e descrizione di ciò che è accaduto durante i tentativi di apprendimento di quel bambino o di quella ragazza.

Ci sono Paesi in cui il voto numerico non è previsto? Sì. In Danimarca il sistema scolastico non prevede voti fino all’età di 14 anni. Dopo questa età esiste una griglia con sette livelli, da 12 a -3 dove 12 è il voto massimo. Lo scopo è collegare i voti degli studenti e delle studentesse danesi con il sistema europeo ECTS (European Credit Transfer and Accumulation System). Nelle tabelle ECTS, per ciascun voto, viene riportata la percentuale di studenti che l’ha effettivamente conseguito: le tabelle, quindi, mostrano come una scala nazionale dei voti venga utilizzata all’interno di un’istituzione, sulla base delle proprie politiche di voto e consentono inoltre, attraverso il confronto delle percentuali cumulate, la conversione dei voti tra diversi sistemi nazionali:

il voto A corrisponde ai voti ottenuti dal migliore 10% degli studenti;

il voto B corrisponde ai voti ottenuti dal successivo 25%;

il voto C corrisponde ai voti ottenuti dal successivo 30%;

il voto D corrisponde ai voti ottenuti dal successivo 25%;

il voto E corrisponde ai voti ottenuti dal 10% finale.

E In Finlandia, faro d’Europa per innovazione del sistema scolastico? Durante i primi anni della scuola unica obbligatoria gli studenti non ricevono voti scritti e formali, ma l’insegnante fornisce valutazioni verbali e descrittive. Tuttavia, alla fine del trimestre autunnale e di quello primaverile si riceve una pagella utile allo studente per comprendere quale sia il suo grado di preparazione. La valutazione numerica inizia ad essere usata negli ultimi anni del ciclo obbligatorio di studi: l’inizio è variabile perché viene decretato dalle istituzioni locali. La scala va da 4 a 10, ma per gli esami individuali si possono usare anche i mezzi e i quarti di voto. Esiste anche il 10+, che serve a premiare gli studenti particolarmente impegnati.

Se il digitale del registro ha forse esasperato l’idea del numero e di tutte le sue declinazioni, in nome di una trasparenza e di una accessibilità diffusa, oggi la sfida a scuola è rappresentata più dal sistema di tracciamento che gli ambienti digitali possono attivare sulla partecipazione alle attività didattiche, sulla cooperazione nella costruzione di artefatti e prodotti, sulla condivisione di risorse e sulla loro elaborazione, nonché sui processi di autovalutazione. Sapremo trovare una strada che riporti l’attenzione sulla persona, la sua esperienza di apprendente, la sua relazione con il mondo? Vedremo. Intanto possiamo chiedere a ChatGpt che cosa ne pensi e magari parlarne a fine anno nei nostri collegi e consigli di classe.