Contributo a cura di Dianora Bardi e Roberto Maragliano
La pandemia è, speriamo, ormai alle spalle, ma ha lasciato una nuova idea di comunità.
Uno spazio nel quale ciascuno offre il proprio contributo, dove figurano nuovi luoghi e modi della formazione, dove tanti e diversi soggetti della comunità cittadina sono agenti di formazione, dove
insomma la normalità del frequentare quelle classi, quei compagni, quegli insegnanti, ha perso la garanzia di fungere da valore unico, assoluto, e ha imparato ad agire come dato statistico.
Ciò che appare ormai evidente è come le occasioni formative siano diventate molte, ricche, feconde, anche fuori dalle aule; è cresciuta insomma la consapevolezza che la prospettiva di elevare il capitale
di esperienza e di conoscenza di una comunità passa attraverso la responsabilità di tanti, di molti, non soltanto degli operatori della scuola.
Tante e tali sono le trasformazioni del mondo intorno e dentro a noi indotte dal digitale che non possiamo evitare di chiederci come e perché esse siano diventate così organiche ai regimi comuni di
attività, di pensiero, di vita, dunque anche di formazione.
Non è più il tempo, se mai lo è stato, di temere un’espropriazione della nostra umanità da parte delle macchine. Siamo umani, e ci distinguiamo, in quanto inventiamo e usiamo, incorporiamo macchine,
ovvero tecnologia. Gli occhiali non ci disumanizzano, al contrario, una volta che li abbiamo incorporati, ci aiutano ad acquisire un rapporto più adeguato con la realtà e a capire cosa perderemmo nel farne a
meno. Lo stesso vale per tanti dei dispositivi tecnologici di cui ci serviamo per stare meglio, più efficacemente e comodamente, dentro il mondo.
La macchina, la tecnologia sostituirà l’azione del docente? Da anni lo si dice e lo si teme. Ma una cosa è assolutamente chiara, ormai. Quanto più è ripetitivo e meccanico, un lavoro, tanto più facile ed efficace
diventa la decisione di affidarlo ad una macchina. Vale per tutto e per tutti.
Ovviamente l’attività di formazione non è costituita solo di azioni meccaniche, anche ce ne sono ancora troppe e se, fortunatamente, molte di queste sono destinate a passare agli agenti artificiali. Ma ci sono
ancora, e non sono poche, attività di tipo relazionale, dove la dimensione esistenziale trova ancora un irripetibile equilibrio dinamico fra cognizione, affettività, operatività. Su queste dovrebbe puntare una
progettualità scolastica e didattica consapevole di un mondo definitivamente cambiato: cambiate anche per merito della tecnologizzazione dell’umano. Tutto questo non può non avere un riflesso sul piano della progettazione scolastica, non fosse altro perché l’ineliminabile componente di sapere garantita dagli studi umanistici è destinata a non rappresentare più un’alternativa ma ad agire come fattore di arricchimento e di integrazione interno ad un sapere collettivo sempre più impregnato di scienza e tecnologia. Curiosità, creatività, flessibilità rappresentano le mete sempre in evoluzione di questa prospettiva di collegamento tra esperienze e tra conoscenze, all’interno della quale il digitale è destinato a svolgere un ruolo importante di cornice materiale e concettuale.
In un contesto così complesso e così mosso è lecito domandarsi quale possa essere il valore reale di titoli di studio i cui riferimenti ideali e materiali rimandano a realtà economiche e sociali che non sono
più corrispondenti alle attuali.
Un’ulteriore rivoluzione, quella demografica, che a causa della traiettoria discendente delle nascite non consente di immaginare sostenibile i sistemi previdenziali così come li conosciamo, obbligherà
tutti a lavorare molto più a lungo, forse, e di conseguenza ad essere nuovamente esposti a cambiamenti, a cose nuove, che costringeranno ad un continuo aggiornamento. Lavorare più a lungo,
forse, ma lavorare meglio, auspichiamo, in contesti più accettabili e attraenti, garantiti da macchine accoglienti e intelligenti.
È vero che la quantità di nuove mansioni connesse al digitale, alle tecnologie, all’ informatica, alla robotica, all’ intelligenza artificiale, richiede che molti dei nostri giovani si muovano in questa prospettiva, e sicuramente in questo registriamo grossi ritardi nel nostro paese. Ma è altrettanto vero che per giovani che intraprendano una simile strada sarà fondamentale avere la possibilità di reinventarsi costantemente al mutare delle condizioni, degli interessi, delle circostanze.
L’apprendimento non finisce il giorno in cui si completa il percorso scolastico, ci si diploma, o si prende una laurea. Abbiamo capito che ragionare di apprendimento lungo tutta la vita non è solo una
formula accattivante promossa dalla pedagogia del progresso. L’elemento della ri-formazione, del re- skilling, della formazione permanente è importante tanto quanto lo è il tipo di attività che la scuola
propone ai giovani: le soft skills, assolutamente fondamentali, oggi, per garantirsi (come studenti, ma anche come docenti!) il positivo adattamento ad un contesto in continuo mutamento, devono essere
coltivate non ai margini ma all’interno delle attività formative di maggiore rilievo e importanza, dentro e fuori i confini dell’agire scolastico.
Il “saper pensare da sé” rappresenta l’unica vera garanzia di autonomia: qualsiasi sia la strada che si decide di intraprendere, il pensare da sé vale come potente antidoto al terrore di essere sostituiti dalla
macchina nel proprio lavoro. Tanto più che ad essere sostituiti sono ormai gli stessi mestieri digitali, se è vero che piattaforme basate su intelligenza artificiale sono in grado di svolgere egregiamente il
lavoro di un programmatore. Il tema dominante sta diventando allora l’impegno ad incentrare la strategia formativa non sullo strumento o sul linguaggio del momento ma sulla capacità personali di “reframing”; dunque, di rilettura del proprio contesto di intervento e di inquadramento del ruolo che vi si può svolgere.
La formazione tecnica di terzo livello
Ed è proprio in simile ambito generale di impegno che si inserisce l’attività degli ITS, ossia gli Istituti Tecnici Superiori. Inquadrati come ITS Academy nel nuovo sistema terziario di Istruzione tecnologica
superiore, questi Istituti godono, col PNRR, di un finanziamento di un miliardo e mezzo di euro per cinque anni. Si tratta di un canale formativo post-scolastico parallelo all’ Università, nato anni fa e oggi
ulteriormente rinforzato nel ruolo di garantire risposte concrete al bisogno delle imprese di attingere ad una base solida di nuove ed elevate competenze tecniche, pensate e attuate per un ingresso diretto
nel mondo della produzione e dei servizi. Perché questo avvenga è giocoforza che sia sul piano delle scelte di contenuto sia su quello dell’organizzazione didattica il collegamento degli ITS con il mondo
aziendale e con il sapere che esso esprime sia il più possibile stretto ma anche dinamico, ed è peraltro necessario che l’influenza inevitabilmente esercitata dalla tradizione delle esperienze scolastiche e
accademiche sia il più possibile orientata al sostegno della specificità della nuova impresa.
La loro nascita risale al 2008, nel quadro di un’iniziativa del MIUR volta a promuovere “percorsi di alta specializzazione tecnologica”, capaci di formare tecnici di livello superiore in aree tecnologiche
strategiche per lo sviluppo economico, la competitività e la valorizzazione del “Made in Italy”, e di creare sinergia tra le aree dell’istruzione, delle istituzioni culturali e del mondo della produzione.
Qualità e quantità degli interventi sono subordinate alle offerte lavorative dei territori di riferimento e fanno riferimento alle seguenti aree strategiche:
- Efficienza Energetica;
- Mobilità sostenibile;
- Nuove tecnologie della vita;
- Nuove tecnologie per il Made in Italy;
- Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali – Turismo;
- Tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
La loro durata è biennale o triennale, in riferimento al quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework): biennale per quinto livello EQF, triennale per il sesto livello. Inoltre, almeno
il 30% del totale delle ore deve essere svolto in tirocini, anche all’estero. E il 50% dei docenti deve provenire dal mondo del lavoro.
Un caso esemplare
In una regione, il Molise, dove l’occupazione giovanile si attesta al 24%, ben al di sotto della media italiana, già molto arretrata (31%), le Istituzioni e le aziende sono chiamate a dare risposte tanto più
concrete e rapide.
Un modello, sicuramente molto virtuoso, è dato dall’ITS Demos Academy, che ha ampliato i propri ambiti di intervento grazie al riconoscimento della Regione Molise con DGR n. 352 del 19/10/2021,
dopo l’assenso del Ministero dell’Istruzione, diversificando i corsi di formazione e rispondendo in tal modo ai nuovi fabbisogni delle piccole e medie imprese del territorio. Nell’ambito dell’Area
Tecnologica già attiva dell’ITS del Molise, quella delle Nuove tecnologie per il Made in Italy, sono andate ad aggiungersi all’alimentare i settori della moda, della meccanica e dei servizi alle Imprese,
tutti strettamente collegati con le filiere produttive della Regione.
“L’obiettivo – afferma Rossella Ferro, presidente dell’ITS Demos e Director Marketing del pastificio La Molisana– è sempre quello di soddisfare i bisogni delle aziende colmando il mismatch tra domanda e offerta e formando i neodiplomati per poi inserirli nel mondo del lavoro. Siamo molto soddisfatti perché dopo tanti anni di lavoro, di sacrifici e di grandi sinergie con gli enti centrali e del territorio abbiamo ottenuto dal ministero il naturale riscontro positivo così come era già avvenuto per la regione Umbria per diversificare i nostri corsi formativi e preparare nuove figure iper-specializzate da inserire nelle aziende che ne hanno bisogno. Risponderemo alle esigenze formative di tutto il tessuto economico molisano”.
Un progetto, quello dell’ITS Demos Academy che si arricchisce anche di una ‘Campagna letteraria’, svolta all’interno dell’azienda, La Molisana che vuole far convivere con la materia economica e tecnica, quella umanistica, filosofica, storica.