Appunti dagli Stati generali della scuola digitale 2021
A cura di Roberto Maragliano e Dianora Bardi
Panel 9 Video, podcast e mappa interattiva
Lavorare sull’educazione al pensiero scientifico è cosa impegnativa. Se si intende questo impegno anche come un’educazione al pensiero critico, alla prospettiva di far apprendere attraverso l’errore, di far mettere insieme realtà e astrazione attraverso un processo creativo, di far utilizzare ogni coriandolo di cervello e tutte le intelligenze, può capitare che il processo fallisca, a un certo punto. Dunque, la scuola si deve interrogare su dove e quando ciò accade.
Se si guarda con un occhio critico alla fisica, ad esempio, ci si rende conto che è insegnata quasi sempre come un insieme strutturato di conoscenze, trascurando così la loro costruzione e il loro legame con i fenomeni: apprenderla, in quella chiave, equivale ad acquisire il suo formalismo, senza che emerga il ruolo del sapere della fisica all’interno di contesti interdisciplinari; equivale a trattarla in termini matematici, trascurando il ruolo che è proprio della concettualizzazione.
Per questo la fisica viene confusa, sovente, con la tecnologia, e considerata come una disciplina deterministica e totalizzante che ammette solo un mondo misurabile e prevedibile mediante complessi strumenti di tipo formale, accessibili soltanto alla comunità degli scienziati. È, questo, un problema di cultura che dipende dai modi in cui, insegnando la materia, se ne costituiscono rappresentazioni e motivazioni, se ne fissano i modi di relazionarsi con essa e di riconoscerne e comprenderne le azioni. Da un determinato contesto di presentazione vengono determinate aspettative di rappresentazione della disciplina e del suo ruolo nel mondo.
Sul piano didattico sono stati commessi tremendi errori che hanno contribuito a intaccare e indebolire l’immagine sociale e culturale della fisica: questo, soprattutto, in base alla tendenza, registrata un po’ dappertutto, e a tutti i livelli, a privilegiare i risultati rispetto ai processi, a proporre modelli e contesti ideali astratti a discapito del problema della loro costruzione e all’uso che se ne può fare nella realtà quotidiana, a fornire risposte a domande predefinite, a dare nozioni invece che elementi di competenza. Di conseguenza, la fisica è perlopiù vista come una disciplina astratta che tratta di cose inesistenti come il punto, i materiali, i gas perfetti, e che fa ricorso a leggi complicate.
Tutto ciò oscura la sua bellezza, la sua utilità, i suoi possibili impieghi nella vita quotidiana.
È quindi importante che si lavori ad offrire ai giovani anzi, a far vivere loro delle esperienze significative sul piano del metodo, e che siano il più possibile diversificate, ampie e riferite a diverse realtà: da quelle del quotidiano a quelle dello sport e dell’arte, dove proprio l’approccio della fisica moderna e contemporanea aiuta lo studente a porsi al centro degli avvenimenti e a farsi protagonista del proprio apprendimento. La mission pedagogica è di passare dalla scuola delle conoscenze a quella delle competenze, dai programmi delle discipline alla progettazione unitaria dei curricoli, dall’insegnamento sequenziale delle singole materie a un processo di insegnamento e apprendimento con garantisca un coinvolgimento personale di chi apprende. La possibilità stessa di migliorare l’apprendimento degli studenti, di rinnovare il curricolo concreto, di introdurre innovazioni didattiche metodologiche si lega strettamente al livello di professionalità del docente e allo sviluppo della ricerca didattica.
Il problema di una cultura scientifica comune va posto insomma in termini culturali ampi, deve essere inteso come l’occasione per far comprendere cosa è e cosa non è scienza, di cosa essa si occupa nel processo conoscitivo, senza mistificazioni, di come essa individua e controlla potenzialità e limiti del pensare e dell’agire. Come farlo è un problema che non può risolversi con la semplice informazione e il semplice racconto: gli strumenti e i metodi della scienza devono essere conosciuti e riconosciuti attraverso un lavoro continuo di riflessione sull’esperienza.
Si deve dunque partire dai laboratori, luoghi deputati a far esplorare la realtà con la mente, con i sensi, e con sensori e strumenti di complessità via via crescente, puntando a livelli sempre più avanzati e indagini sempre più approfondite.
La complessità del contesto socioculturale e lavorativo in cui siamo tutti immersi pone la necessità di individuare nuove modalità per la formazione e richiede una scuola in cui i saperi disciplinari si pongano come oggetti culturali che il docente propone ai discenti come esperienza da condividere e su cui riflettere e ragionare. Il compito della scuola non è di fornire contenuti disciplinari da far riprodurre ma di proporre elementi di conoscenza esperita da far utilizzare in maniera creativa perché si impari a fronteggiare problemi generali di interpretazione di tutta la realtà: dunque, risorse per conoscere, per capire, per capirsi. Si deve operare, insomma, una revisione dei contenuti e dei metodi nella didattica scolastica, intrecciando legami tra le molteplici dimensioni e articolazioni del sapere, e educando così le intelligenze. In questa prospettiva le discipline si configurano come assetti concettuali da esplorare e rappresentare con l’obiettivo di comprendere i molteplici significati connessi al muoversi consapevolmente nei diversi contesti, artificiali e no.