Educare al pensiero scientifico – Investire sulla ricerca

Appunti dagli Stati generali della scuola digitale 2021

Contributo a  cura di Dianora Bardi e Roberto Maragliano

Panel 9 Video, podcast e mappe interattive di riferimento

 

La ricerca didattica ci insegna che si devono mettere in atto strategie adeguate a sollecitare un cambiamento concettuale nel passaggio dal senso comune al sapere strutturato. I ragionamenti di senso comune sono spesso delle trappole. Oggi sappiamo che non c’è osservazione che sia sprovvista di un’idea interpretativa; una volta si credeva che bastasse solo far osservare e niente più, ma c’è tutta una letteratura aggiornata che mostra come noi stessi, tanto più i piccoli, nell’esperire il modo ce ne facciamo un’idea interpretativa, e come e quanto questa idea rechi in sé le carenze dei modelli del senso comune e le ambiguità del linguaggio. Conoscenza scientifica e assunzioni naturali coesistono sovente dentro lo stesso territorio conoscitivo.

Dalle ricerche più mature di didattica delle scienze a livello internazionale emerge il ruolo che, a partire da numerosi contesti fenomenologici, esercitano determinati assunti di senso comune: sono angoli strategici che tendono a deviare il pensiero rispetto alle strutture ortodosse della disciplina. Ed è perciò necessario partire da lì per fare ponti, e far maturare un modo di vedere le cose che sia più coerente con un approccio scientifico. Le difficoltà di apprendimento connesse a questo mancato raccordo fanno capire quanto è importante che si stabilisca un legame di consapevolezza tra la natura degli schemi concettuali personali e la natura delle conoscenze scientifiche da acquisire e utilizzare nei diversi contesti. La negoziazione e la condivisione dei significati sviluppano il pensiero argomentativo. 

Insomma, l’attività didattica deve prevedere un costante coinvolgimento personale e operativo, di tipo individuale e collettivo: ciò significa investire sul fare esplorare realtà, applicare ipotesi, confrontare interpretazioni. Serve una prospettiva di ricerca per l’innovazione e ciò comporta che si presti la dovuta attenzione ai luoghi interni agli assetti disciplinari in cui si fa più urgente l’esigenza di innestare simili strategie di cambiamento concettuale e di ripensamento dei contenuti in termini problematici. Occorre svolgere ricerche empiriche sui ragionamenti dei ragazzi ed attivare percorsi di insegnamento e apprendimento atti a far luce sui modi diffusi di guardare alla tecnologia. Un tempo ci si concentrava molto sugli elenchi e i cataloghi delle difficoltà; oggi, piuttosto, ciò che interessa sono gli ostacoli che si interpongono al raggiungimento di un livello adeguato di comprensione e costruzione del pensiero formale. 

Il pensiero formale si sviluppa già nell’infanzia: certo poggia, all’inizio, su simboli e segni, è più iconografico che concettuale, ma via via si sviluppa e interessa la logica interna dei ragionamenti, anche a partire da modelli spontanei e dalla loro evoluzione dinamica in seguito a stimoli specifici. C’è ampia materia, qui, per l’indagine scientifica, anche in collaborazione con le scuole. La ricerca in didattica della fisica non va confusa o sostituita con le ricerche pedagogiche sull’insegnamento generale e neanche con le ricerche psicologiche sull’apprendimento individuale ma neppure con gli studi psicologici sull’organizzazione delle attività scolastiche. Essa è legata alla costruzione di competenze per produrre apprendimenti specifici di tipo disciplinare come ad esempio quali angoli d’attacco, quali strategie, quali ponti risultano utili per arrivare a far capire la meccanica quantistica, i concetti più avanzati ma anche quelli della fisica classica. È un processo che non può essere trascurato: quello che nella letteratura internazionale è denominato “learning of subject matter” e che corrisponde ad una sfida portata avanti dalla didattica rispetto all’impegno tradizionale della comunicazione e della divulgazione. Soprattutto per quanto riguarda la fisica moderna questo approccio si fonda sulla rinuncia alla narrazione dei risultati per offrire reali occasioni di apprendimento e non solo di comprensione di affermazioni. Comporta una costante appropriazione di strumenti e metodi ed implica molte dimensioni: dai livelli più informali e ludici a quelli più complessi forniti dagli apparati pubblici della comunicazione, dove sono offerti, oggi, contributi importanti alla formazione scientifica.  

Quando si parla di tecnologie informatiche si pensa sempre e solo alla didattica a distanza o ai social media. Ma c’è dell’altro. La tecnologia ha messo a disposizione degli studenti, tramite i dispositivi che utilizzano, dei sensori utili alla raccolta, l’analisi e l’elaborazione dei dati e alla costruzione di sistemi di modellizzazione: riproducendo i modi in cui si lavora nella scienza, la loro presenza nelle strumentazioni digitali può rappresentare un’utile risorsa per l’apprendimento e per la costruzione del pensiero. La ricerca sull’impiego organizzato o libero di attrezzature semplici sia dentro sia fuori dalla scuola conferma che l’operatività manuale e concettuale favorisce il coinvolgimento del soggetto sul tema oggetto di studio, attivando risorse e capacità cognitive che aiutano a separare il piano descrittivo da quello interpretativo e a identificare i processi di concettualizzazione.

È convinzione diffusa che non vi sia mai tempo sufficiente nelle scuole soprattutto superiori per svolgere esperienze nuove. Questo non è vero, è stato infatti ampiamente dimostrato, dalle indagini, che affrontare un argomento scientifico sostituendo l’insegnamento tradizionale con uno basato sulla logica dell’esperimento non solo ha richiesto lo stesso tempo ma ha anche consentito agli studenti di ottenere risultati migliori a livello non solo di conoscenze ma anche, e soprattutto, di competenze. Sarebbe molto importante riuscire a costituire delle sinergie tra scuole e tra scuole e istituti di ricerca, sì da favorire una mutua “fertilizzazione” delle esperienze.