Contributo a cura di Dianora Bardi – Presidente dell’Associazione ImparaDigitale
Una delle più evidenti conseguenze del terremoto COVID-19 è stata la profonda trasformazione del nostro rapporto con il digitale – è un dato di fatto cui è impossibile sfuggire.
Nell’ambito della scuola ciò ha condotto all’impiego massiccio della famigerata didattica a distanza, strumento che, nato maldestro e nell’emergenza, si è tuttavia stabilizzato con l’uso e ha permesso una continuità dell’offerta formativa in tempi in cui sarebbe stato impraticabile qualunque altro metodo. Non solo: le nuove modalità digitali hanno aperto lo spazio per una più attiva collaborazione tra scuola e famiglie. Da una parte, docenti e dirigenti hanno dovuto far fronte a impreviste, nuove condizioni di lavoro; dall’altra, genitori e tutori hanno ricevuto il carico di nuove responsabilità, ma si sono aperti anche a una partecipazione maggiore, in molti casi positiva e costruttiva, alla vita scolastica dei figli.
Gli studenti, dal canto loro, hanno dimostrato da subito una grandissima capacità di adattarsi al nuovo strumento, e rispetto ai loro coetanei di qualche hanno fa mostrano modalità di interazione, relazione, sviluppo mentale significativamente diverse. Tuttavia, se da un lato bambini e ragazzi si impadroniscono facilmente e precocemente delle competenze digitali, anche grazie alla duttilità e maneggevolezza degli strumenti a loro disposizione, non sempre essi sono in grado di controllarne gli effetti pervasivi e autodisciplinarsi nel loro utilizzo.
Ecco perché, nel percorso di organizzazione e arricchimento della didattica digitale, è importante focalizzarsi su due nuclei di riflessione principali:
- innanzitutto, comprendere come sviluppare al meglio le potenzialità cognitive degli alunni di oggi, come poter gestire le loro emozioni e condurli a una seria consapevolezza delle caratteristiche della rete – con le sue logiche, i suoi punti di forza, i suoi limiti, i suoi pericoli. È essenziale far maturare nei giovani un’etica positiva dell’informazione, un senso critico che vada al di là della capacità di movimento che hanno già acquisito nella loro vita di cittadini digitali;
- in questo senso, la scuola non può semplicemente concentrarsi sull’uso degli strumenti, sull’acquisizione di competenze digitali o sull’applicazione estemporanea di metodologie didattiche. Tutto ciò deve essere inserito all’interno di una progettualità ben definita, che integri il passato e il presente.
Per anni, molti docenti hanno tentato di inserire l’uso dei dispositivi digitali nelle attività quotidiane, ma spesso in forma sporadica e con la consapevolezza che bambini e ragazzi in quest’ambito “ne sapessero di più”. Era un modo per avvicinarsi a loro, non privo di una certa curiosità e un certo straniamento nel rendersi conto che gli studenti si distanziavano sempre più dall’immagine consueta (non sempre realistica, in verità) di chi, seduto e passivo, ascolta concentrato la lezione. Ecco allora che, nelle visioni più negative, si è arrivati a considerare tutto ciò che aveva a che fare con la portabilità e l’usabilità del digitale – caratteristiche concentrate nello smartphone – un qualcosa che occorreva tenere fuori dalle aule, talvolta addirittura fuori dall’edificio scolastico, in quanto veicolo di distrazione e barriera di isolamento. Una sorta di demonizzazione dello strumento che non ha portato a depotenziarlo, al contrario. I tempi, ormai, sono cambiati in modo irreversibile, sia negli spazi di esistenza dei giovani, e dunque nei loro orizzonti di educazione e autoeducazione, sia negli stili di vita in cui essi sono immersi. La tecnologia ha maturato un’alleanza sempre più stretta con i suoi utenti diventando, anche per questo, sempre più attraente, pervasiva e trasparente. Bandire i cellulari dalle aule non è più una soluzione (se mai lo è stata), anche perché essi sono diventati sempre più funzionali in ogni situazione della vita quotidiana.
Gli stessi adulti hanno iniziato a manifestare comportamenti che un tempo sarebbero apparsi problematici. Ci riferiamo per esempio all’abitudine di consegnare i device ai bambini anche in tenerissima età, o al fatto che gli adulti li usino con assiduità e concentrazione anche di fronte ai più piccoli. Si sta formando, a detta di molti osservatori, un nuovo patto sociale, centrato sull’immagine e sulla virtualità, implicito più che esplicito. Prenderne coscienza non solo arricchisce la nostra riflessione sulla scuola e le nuove modalità di insegnamento/apprendimento; fornisce una direzione chiara ed efficace per una vera trasformazione della didattica, nell’ottica del futuro.
Dalle ricerche svolte da ImparaDigitale è emerso con chiarezza che i migliori risultati nell’apprendimento di bambini e ragazzi si verificano quando viene dedicata una specifica attenzione alla costruzione di spazi educativi centrati sul ragionamento, la motivazione, l’apprendimento costruttivo, la metacognizione. Ovvero, si può sostenere ancora una volta, se occorre ripeterlo, che non è lo strumento in sé a portare innovazione, ma il modo in cui questo strumento viene accolto all’interno della comunità scolastica nel progetto pedagogico – progetto che ha successo solo quando si riconosce agli studenti il ruolo di protagonisti nelle attività di indagine e di costruzione del loro stesso percorso formativo, con la creazione di un clima di fiducia ed empatia tra docenti e studenti. Non si arriva allo stesso successo, invece, quando viene a mancare la consapevolezza e la duttilità di fronte alle trasformazioni della società; quando viene meno il desiderio di coinvolgere ed essere coinvolti, e dunque di accettare una modifica concreta dei ruoli e delle relazioni; quando, insomma, non ci si sente attratti dalla possibilità di esplorare e saggiare nuove modalità di insegnamento, apprendimento e condivisione dei saperi.
Per raggiungere i risultati più felici, solo una progettazione didattica strutturata e adeguatamente applicata nella quotidianità in classe può apportare vere innovazioni al lavoro dei docenti, aggiornando il bagaglio delle loro personali consapevolezze in fatto di metodologie e contenuti. Non più semplici somministratori di sapere, ma registi: il ruolo dei docenti è così meno centrato sulla trasmissione delle conoscenze e più orientato a un’azione di tutoraggio nei confronti delle attività degli allievi, singoli e in gruppo.
I primi a guadagnare da un’esperienza didattica così rinnovata e strutturata sono sicuramente i ragazzi e le ragazze, rispettati nel loro diritto a conquistare ed esprimere responsabilità, autonomia e creatività. Proprio il digitale, utilizzato al meglio, può agire come ambiente di apprendimento personalizzabile e adattabile ai contesti, vale a dire uno strumento particolarmente efficace per raccontare e raccontarsi. Sempre tramite il digitale gli studenti hanno a disposizione un’ampia varietà di linguaggi e possono attingere a una sterminata base di risorse di conoscenza, che permette di aprire nuovi orizzonti di sapere, valorizzare i singoli talenti, creare nuove relazioni, sviluppare originali dinamiche di comunità.
Il digitale ci offre un’opportunità preziosa anche su altri aspetti. Nel mondo immateriale è possibile superare ostacoli che nella scuola, finora, sono stati vincoli quasi insormontabili: basti pensare alle co-presenze, le attività costruite per nodi concettuali, le progettazioni meta-disciplinari, la condivisione delle esperienze anche tra docenti e studenti di classi e scuole differenti. Per questo motivo è necessario pensare e attuare modelli educativi che portino a una progressiva, completa rivisitazione delle caratteristiche della scuola, intesa anche come luogo fisico; un cambiamento che si riversi sui piani della governance, dell’infrastruttura, della logistica, della tecnologia, dell’amministrazione, della configurazione degli spazi, della natura degli arredi. A questa esigenza stiamo dando risposte concrete, sia nella creazione di ambienti immersivi virtuali per la scuola dell’infanzia (l’Aula delle meraviglie), sia proponendo nuovi modelli di scuola (il Modello di ImparaDigitale) in cui è possibile realizzare oggi ciò che l’OCSE indica come nuovi scenari per la scuola del futuro.
Oggi più che mai ci si deve concentrare su una didattica coinvolgente, collaborativa, inclusiva. Ci si deve mostrare disponibili ad abbandonare vecchi modelli, ossessioni, amplificazioni, per valorizzare e accogliere nuove modalità di dialogo fra i saperi scientifici, umanistici, tecnologici: in poche parole, occorre promuovere una cultura scolastica aperta, in uno spazio educativo sempre più plurale.