Lancini vs Pellai: due vie per la stessa domanda, come far crescere bene gli adolescenti

Sintesi degli interventi fatti durante gli Stati Generali della scuola digitale, Bergamo 2025, dai due psicoterapeuti Matteo Lancini e Alberto Pellai

A cura di Dianora Bardi

Mettere a confronto le posizioni di Alberto Pellai e Matteo Lancini significa osservare la stessa scena da due angolature diverse. Entrambi partono da un dato condiviso: scuola e famiglia stanno faticando a offrire ai ragazzi un ambiente di crescita stabile.
Ma mentre Pellai individua nell’iperconnessione il principale fattore di rischio da contenere, Lancini vede nella povertà relazionale degli adulti la vera falla del sistema. In altre parole, per il primo il digitale è soprattutto un “ambiente” che invade e altera i processi maturativi; per il secondo è uno “specchio” che riflette la solitudine e le contraddizioni del mondo adulto.

Pellai costruisce la sua tesi sul terreno dello sviluppo neuropsicologico. L’età 10–14 anni è delicata e non può essere immersa senza filtri in ecosistemi iperstimolanti: schermi, notifiche, metaversi. Il punto, per lui, non è demonizzare la tecnologia in sé, ma impedire che diventi l’aria che i ragazzi respirano. Da qui discende una prescrizione chiara: analogico come base, digitale come strumento; lezioni che recuperino attenzione profonda; smartphone fuori dall’aula; limite e fatica “buona” come condizioni dell’apprendere. L’argomento è lineare: se il cervello cresce in ambienti regolati e ricchi di esperienza concreta, allora ridurre l’iperconnessione non è moralismo ma igiene dello sviluppo.

Lancini sposta il fuoco. La sofferenza adolescenziale — violenze senza movente apparente, ritiro, autolesionismo — non esplode perché esiste la rete, ma perché troppi adulti offrono un ascolto condizionato: “parla, ma non turbarmi”. In questo clima, internet diventa rifugio e compagnia, non necessariamente la causa del malessere. La vera emergenza, sostiene, è l’alfabetizzazione emotiva di genitori e docenti: saper riconoscere e legittimare tristezza, paura e rabbia, invece di medicalizzarle o punirle. Di qui una scuola più accogliente e meno sanzionatoria, capace di leggere il sintomo come richiesta di relazione, non come disturbo da espellere o certificare.

Il dissenso fra i due non è solo di priorità, ma di logica causale.
Pellai teme che l’ambiente digitale, per come è progettato, sottragga tempo alla costruzione dell’identità e renda più fragile l’aggancio alla realtà; Lancini teme che, senza adulti capaci di tenere la relazione quando fa male, qualsiasi ambiente — anche il più “analogico” — resti sterile. Tradotto: per Pellai il dove e il quanto (di digitale) orientano lo sviluppo; per Lancini il come (della relazione adulta) decide se quel dove e quel quanto diventino problema o risorsa.

E tuttavia i due sguardi non si escludono. Pellai ricorda che senza cornici chiare l’apprendimento si sbriciola; Lancini ricorda che senza legami affidabili il limite si trasforma in muro. È proprio nel punto d’incontro tra “cornici” e “legami” che può nascere una sintesi operativa: limitare la pervasività degli schermi non per tornare indietro, ma per lasciare spazio a esperienze dense; formare gli adulti all’ascolto non per abbassare l’asticella, ma per sostenere la fatica che l’apprendere richiede. Così la scuola evita sia l’illusione “on demand” (ogni difficoltà subito compensata) sia la scorciatoia della diagnosi come soluzione amministrativa; e la famiglia smette di confondere il controllo dell’uso con la qualità della presenza.

Le obiezioni classiche si sciolgono alla luce di questo doppio registro. A chi dice che i ragazzi, “nativi digitali”, imparano meglio con più tecnologia, Pellai risponde che la natività non è competenza e che l’attenzione profonda va coltivata. A chi replica che basta togliere la rete per guarire, Lancini fa notare che il vuoto relazionale non si spegne con l’interruttore del Wi-Fi. Entrambi, in definitiva, chiedono adulti coerenti: nei limiti e nelle parole.

Se dovessimo scegliere una tesi vincente, cadremmo in una falsa alternativa. La forza dell’argomentazione sta invece nel tenerle insieme: ridurre l’iperconnessione quando sostituisce la realtà (Pellai) e aumentare la competenza relazionale quando la realtà fa male (Lancini). Solo così la scuola smette di essere un campo di battaglia tra device e divieti e torna luogo affidabile di crescita; e la famiglia smette di essere una cabina di regia dei tempi di schermo e ridiventa spazio di riconoscimento. Non meno tecnologia, dunque, ma tecnologia meno totalizzante; non più “buonismo”, ma adulti più capaci di restare nella relazione. È in questo equilibrio che gli adolescenti possono trovare direzione senza perdere libertà.