Meno Tacito e più Pascal

Appunti dagli Stati Generali della Scuola Digitale

A cura di Roberto Maragliano e Dianora Bardi

Sintesi dei dibattiti nelle diverse sessioni dell’evento

Video, podcast e mappe interattive a questo link

Si è parlato molto della dicotomia tra materie scientifiche e umanistiche, soprattutto dopo l’intervento di Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, al TG2 il 25 Novembre 2021. “Serve più cultura tecnica. Il problema è capire se continuiamo a fare tre, quattro volte le guerre puniche nel corso di dodici anni di scuola o se casomai le facciamo una volta sola ma cominciamo a impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata. Serve formare i giovani per le professioni del futuro: quelle di digital manager per la salute, per esempio”. Affermazioni che hanno suscitato molte riflessioni, e se n’è avuta eco anche durante gli Stati generali della Scuola digitale

Al fondo c’è, come retaggio di una impostazione che risale alla riforma Gentile, una logica oppositiva e socialmente discriminatoria, basata sulla divisione di quanti sarebbero destinati agli studi classici, intesi come fondamento per lo sviluppo del pensiero, e gli altri, per i quali il destino consisterebbe nelle attività pratiche degli indirizzi tecnici della scuola. In questo contesto le materie scientifiche non sono considerate allo stesso livello di quelle umanistiche; col tempo questa impostazione non è scemata del tutto, anche fuori delle scuole. È dunque legittimo, oggi, sollevare il problema di quanto risulti anacronistica, nell’età del digitale, mantenere riserve rispetto alle prospettive che le trasversalità e la metadisciplinarità del sapere aprono per la progettualità scolastica.

Ma non è solo un problema relativo alla suddivisione disciplinare, che pur diventa fondamentale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado dove è difficilissimo lavorare in team per nodi concettuali e intreccio di linguaggi. È anche un problema generale di esperienza.

I ragazzi sono immersi nella tecnologia, interagiscono nei social media, vivono, apprendono nell’immaterialità, sono protagonisti nella virtualità: il loro linguaggio, la modalità di comunicazione, i processi dei loro apprendimenti sono quanto di più distante vi spossa essere dal modello, tuttora presente, di scuola tradizionale. È necessario che i docenti si impegnino a modificare visione e lessico e prendano in considerazione che nel mondo dell’esperienza di tutti oggi, esistono e circolano attivamente altri saperi disciplinari, rispetto a quelli istituzionalizzati dalla scuola: l’astronomia, la statistica, l’economia, per esempio, con i loro nuovi linguaggi che aiutano anche a superare barriere assolutamente anacronistiche rispetto ad un mondo che muta così velocemente. Questa prospettiva di apertura ad orizzonti nuovi non andrebbe intesa come un impoverimento, ma al contrario come un arricchimento dell’impianto curricolare della scuola. Sacrificare, ad esempio, un decimo del tempo da dedicare alle materie classiche per includere altre modalità di esperienza, per far comprendere che la cultura va dalla “a” dell’astronomia alla “z” della zoologia non può che risultare una mossa positiva, che comunque andrebbe calibrata rispetto alla constatazione che materie come il greco e il latino continuano a trovare un sostegno soprattutto in ambito scolastico, ma che, per il loro sviluppo e approfondimento, le opportunità che la nostra realtà offre non sono ancora così numerose come dovrebbe essere.

Bisogna anche tenere presente che non è possibile conoscere tutto. La mole di dati che il mondo della rete offre è enorme, deve essere selezionata, compressa e rielaborata. Insomma, c’è necessità di ridimensionare la tradizionale visione enciclopedica della scuola, con gerarchie ed esclusioni che hanno fatto il loro tempo.

 

IL MONDO DEL LAVORO

D’altro canto, non si può non tenere conto delle richieste del mondo del lavoro, dunque sarebbe importante intrecciare le proposte della formazione dentro scolastica con la presa in considerazione seria di ciò che accade fuori di essa. Ad esempio, l’80% delle imprese, oggi, utilizza l’intelligenza artificiale: questo implica un significativo innesto, a livello di formazione, di una cultura più laboratoriale e scientifica di quella ancora corrente, e ciò comporterà anche una diversa considerazione di un sapere umanistico utile a far fronte ai problemi del cambiamento e della gestione delle diversità. I temi della costruzione del team di lavoro e dunque dello sviluppo delle soft skill acquistano un forte rilievo, in questa prospettiva, e il digitale fornisce, qui, un supporto incomparabile e irrinunciabile.

È necessario che, nel pensare ad un profilo in uscita di studenti e studentesse, la scuola sappia guardare ad un tempo a ciò che già esiste, in questa prospettiva, e al cambiamento necessario per dare un futuro lavorativo ai nostri giovani.

È pur vero che molte scuole italiane sono ancora molto arretrate sul piano infrastrutturale, non hanno la banda e sono carenti di laboratori. Il PNRR dovrebbe certamente aiutare ad affrontare questi problemi ma è importante che i fondi vengano destinati a progetti a lungo termine e non vengano disporsi con una pioggia di d finanziamenti scriteriati e di effetti solo momentanei.