Se impari ti assumo

Appunti dagli Stati generali della scuola digitale Bergamo 2021

A cura di Dianora Bardi e Roberto Maragliano

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Sessione: Se impari ti assumo: quale formazione per il lavoro?

Coordinatrice: Paola Liberace -Consulente e Coordinatore Scientifico Istituto per la Cultura dell’Innovazione

Relatori: Giorgio Gori – Sindaco di Bergamo- Marco Bentivogli – Coordinatore di Base Italia – Costanza Turrini – Ideatrice e Project Manager Girls Code It Better – Oscar Proietti – Coordinatore didattico ITS Umbria Smart Academy– Franco Amicucci – Presidente Skilla – Daniela Palma – Dirigente Scolastica IIS Enzo Ferrari di Battipaglia (SA)

Nel 2021 l’indice DESI il “Digital Economy and Society Index” indica, per l’Italia, un leggero incremento di positività rispetto al passato avendo raggiunto la ventesima posizione in Europa mentre prima era alla 25esima.

Questo soprattutto per merito della digitalizzazione dei primi mesi del 2020 su servizi, sia pubblici che privati, anche se si è ancora al 25esimo posto per le competenze digitali.

Ma cosa sono le “competenze digitali”?

Il 42 % degli italiani possiede quelle di base contro una percentuale europea del 56 %; più in generale tutti i paesi europei, ad oggi, difettano di competenze digitali professionali.

La programmazione (coding), che è una di queste competenze digitali professionali, è stata introdotta nei programmi didattici ma contemporaneamente si fanno strada le cosiddette “no code platform”, piattaforme in grado di aiutare o in qualche caso addirittura di completare o sostituire il lavoro di programmazione

L’Europa rivede lo standard su cui oggi si basa la codificazione delle competenze digitali che è lo standard DIGICOMP; la versione 2.2 appena uscita, vede soprattutto le competenze relative all’intelligenza artificiale. Il problema, ora, è definire   come queste competenze possano essere portate all’interno del nostro sistema di educazione, di istruzione e di formazione.

La competenza europea di maggior interesse è “competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare” perché implica assumersi la responsabilità dell’apprendimento, e questo vale anche per i docenti. Ad essa è collegata la “partecipazione”. Nel libro di Marco Bentivogli [1]si afferma che una volta i ragazzi per scegliere il proprio lavoro guardavano i contadini, poi hanno cominciato a guardare gli operai, il 65 % dei ragazzi e i bambini che nascono ora faranno un lavoro che ad oggi non esiste.

Dunque: i ragazzi a chi guardano, cosa possono guardare, qual è il lavoro a cui possono far riferimento come modello?

Non ci si deve fermare alla narrazione mediatica (tipica delle proposte televisive) che sicuramente influisce sull’orientare i ragazzi al lavoro, ma bisogna  rivalutare le attività anche manuali, considerate di basso livello, ma che in realtà proprio nell’ibridazione delle persone con le macchine, offrono maggiore opportunità occupazionale. Si devono compenetrare le materie umanistiche con quelle tecniche e manuali, il “saper pensare da sé è generato dall’ arte, dalla cultura. Non esiste conflittualità tra hard e soft skill.

Il percorso formativo deve essere sempre più adattivo per evitare gli ormai diffusi fenomeni di abbandono scolastico.

I dati dei grafici dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) evidenziano l’aumento dei neet, soprattutto al sud: sono dati preoccupanti, che avvicinano l’Italia alla Turchia rurale. In Italia non esistono, oggi, ascensori di mobilità sociale o chances di approdare ad un lavoro migliore di quello dei genitori o almeno più o meno uguale, senza un profondo ripensamento della scuola. Per modificare la scuola bisogna far riferimento ai test INVALSI perché è necessario avere degli elementi di valutazione oggettiva su cui riflettere, ed è altresì importante riportare al centro gli studenti e le studentesse anche nella legge di bilancio. Troppo poco si è fatto nei confronti della “Next generation UE”, si è parlato troppo poco dei giovani e delle donne, si deve invece pensare alla prospettiva del nostro paese con coraggio. I restauratori stanno combattendo per recuperare lo status quo: la scuola digitale che mette in rete le buone pratiche può veramente ricostruire un tessuto più forte per la formazione nel suo complesso..

Va messa in evidenza la necessità di garantire un livello alto di integrazione della formazione e della conoscenza. Dove “integrazione” sembra essere la parola chiave. L’esposizione Internazionale Expo 2020 ha come tema centrale “Connecting Minds, Creating the Future”, connettere le menti, creare il futuro. Il World Economic Forum, per il decimo anno consecutivo, mette tra prime competenze in assoluto il Problem Solving, competenza centrale anche per l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) e l’OCSE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), ridefinito in Collaborative Problem Solving.

Il concetto di rete, di integrazione, da cosa nasce?

Nasce da una consapevolezza che sta emergendo riguardo il valore delle reti e delle connessioni tra culture, discipline, soggetti diversi. Si tratta però di una consapevolezza non ancora ampiamente diffusa nelle scuole e nelle istituzioni.

Forse non siamo abbastanza coglienti del fatto che stiamo vivendo la più grande delle rivoluzioni della storia dell’uomo in termini di rapidità e di pervasività di trasformazioni che toccano ogni aspetto della vita: in primo luogo il mondo dell’apprendimento. La scuola si è sempre trasformata con l’uso delle tecnologie della sua epoca, dall’oralità alla scrittura, la stampa ed i nuovi media del ‘900, ed oggi tutti i linguaggi della comunicazione li riviviamo in contemporanea in un unico ambiente, il digitale. La radicalità di questa rivoluzione induce a chiederci se tra 20 anni esisterà ancora la scrittura a mano e se sarà necessario anche in futuro apprendere le lingue straniere. Fra pochi anni avremo la possibilità di fare conferenze con tante lingue diverse in contemporanea, ognuno parlerà con la propria lingua e ognuno ascolterà con la sua lingua. I bambini che entrano oggi a scuola, quando usciranno verso il 2035- 2050, saranno in un mondo totalmente nuovo, che non riusciamo a prefigurare, per cui riflettere oggi su quali competenze prioritarie, di carattere generale, investire per prepararsi al futuro è fondamentale. Il mondo della scuola e il mondo della formazione aziendale dovranno necessariamente adeguarsi e la domanda non è solo come formare i ragazzi, ma come formiamo i formatori, i docenti al nuovo mondo che è già arrivato.

L’insegnamento sarà sempre meno basato sulla trasmissione esclusiva dei contenuti, per focalizzarsi sul governo dei processi di apprendimento, sui metodi, sulla capacità di attivare i meccanismi dell’apprendere ad apprendere per tutto l’arco della vita. Ricerca, spirito critico, connessione e collaborazione per creare valore saranno sempre più competenze centrali. I nuovi lavori al momento non li conosciamo, avranno nomi che attualmente non esistono, gli attuali linguaggi di programmazione saranno sostituiti da nuovi linguaggi, ma alcune competenze, come le soft skills, rimarranno valide. Sta scomparendo la tradizionale separazione tra tempo di studio e tempo di lavoro, così come sta scomparendo la separazione dei luoghi dedicati allo studio e dei luoghi dedicati al lavoro. L’apprendimento dovrà essere continuo, quotidiano, integrato nella vita e nel lavoro.

Parliamo molto, giustamente, di introdurre lo studio della filosofia nei percorsi di studio a vocazione tecnico-professionale, ma è altrettanto importante far fare esperienze di manualità anche nei Licei, come avviene nei paesi del Nord Europa. La formazione deve essere integrale. L’UNESCO, diversi anni fa, ha lanciato il progetto della Learning City, ossia una città che si organizza come luogo fisico e virtuale per l’apprendimento. Un caso di successo, di livello internazionale, è rappresentato dalla città di Chicago, che ha realizzato una grande piattaforma, www.lrng.org, che include tutte le opportunità di apprendimento, formali e non formali, tecniche ed umanistiche, disponibili per i cittadini per tutto l’arco della vita. La città è un luogo di apprendimento che attiva energie, contaminazioni, scambio di esperienze sempre nuove. così dando ad ogni cittadino la possibilità di crearsi percorsi personalizzati, che soddisfino i suoi bisogni e le sue passioni. Una città come Bergamo, votata alla cultura, potrebbe lanciare quest’idea, che si basa molto anche su un senso civico nuovo, di volontariato, dove anche le aziende possono aprirsi con le loro Academy alla società per fare formazione indirizzata non solo ai propri dipendenti, ma anche ai giovani disoccupati.

[1]  “Il lavoro che ci salverà. Cura, innovazione e riscatto: una visione prospettica”, edizioni San Paolo 2021, pagg. 256