Contributo a cura di Marco Campione Esperto di politiche pubbliche per l’istruzione, Base Italia e Marco Pennarola Head of Marketing Enterprise & Wholesale Fastweb
“L’apprendimento si sta rivoluzionando grazie alle infinite ibridazioni del fisico e del digitale, della tradizione e dell’innovazione, di linguaggi e format diversi”. Inizia così ‘Apprendere nell’infosfera’, il bel volume scritto da Franco Amicucci per FrancoAngeli. L’ibridazione è un concetto antico, che risale agli albori dell’e-learning ma che oggi acquisisce una nuova centralità, a maggior ragione se si ragiona di apprendimento e non di formazione aziendale, l’ambito nel quale l’e-learning è nato. Invece il dibattito sull’innovazione della didattica devia troppo spesso su un piano ‘filosofico’: è vera scuola? Qual è il prezzo pagato dai ragazzi in termini di conoscenze e competenze acquisite? Non c’è dubbio che una didattica esclusivamente a distanza non possa essere ‘vera scuola’, ma questo giudizio non lo facciamo discendere da preoccupazioni sull’efficacia, che invece hanno a che fare con problemi strutturali della nostra scuola: una scuola senza scuole non è scuola, ma perché viene meno uno dei suoi elementi, la socializzazione, che è parte integrante di ogni processo di apprendimento nell’età evolutiva, non certo perché un ambiente di apprendimento tradizionale sia l’unico luogo dove si possa apprendere. Una discussione meno ideologica si concentrerebbe su come si può sfruttare l’innovazione per migliorare gli apprendimenti, ridurre i divari territoriali e contrastare le diseguaglianze. Da noi invece si confonde l’innovazione didattica con quella tecnologica, facendo credere che siano sinonimi e che basti imparare a usare Zoom o Teams per fare di un docente del secolo scorso un docente contemporaneo. Dice bene Sciltian Gastaldi in ‘Lo so f@re’ (Mondadori Education): “Il primo errore che non si deve fare è pensare di trasporre sic et simpliciter ciò che si fa in aula in una lezione online”. È questo il cambio di paradigma più difficile per docenti e studenti, come confermano anche le prime analisi qualitative di quanto accaduto durante la pandemia.
Prendiamo ad esempio il 5G, che sarebbe limitante considerare solo un 4G più veloce. Il suo sviluppo si basa infatti su un utilizzo massiccio della fibra per connettere le antenne e sui paradigmi del cloud e dell’edge computing: è quest’ultimo che abilita lo sviluppo di quelle applicazioni in tempo reale che rappresentano una delle principali novità, come ad esempio la realtà virtuale e la realtà aumentata fruite anche in mobilità. Se c’è sempre più consapevolezza che siamo di fronte a un potente abilitatore di nuovi scenari nell’ambito della manifattura, della sanità, dei trasporti, delle smart city, del turismo, dell’agricoltura, si parla ancora poco di quanto il 5G rappresenti un’opportunità straordinaria per costruire il sistema educativo moderno, inclusivo e sostenibile che manca al paese. Fa eccezione lo studio recentemente pubblicato da Egea, ‘Il Futuro del 5G. Mercato ed evoluzione tecnologica’, al quale rimandiamo chi volesse approfondire.
In ambito education il 5G potrà sostenere il cambiamento in diversi modi: la didattica che si ibrida e ricorre anche a strumenti nuovi, la verifica e personalizzazione degli apprendimenti, la stessa organizzazione. Alcune delle innovazioni introdotte con successo negli anni passati saranno aiutate a intercettare la crescita di attenzione e finanziamenti, non ultimo il PNRR, dovuta alla pandemia e le ‘avanguardie educative’ che INDIRE ha catalogato e sostenuto negli anni saranno un po’ meno ‘avanguardia’; pensiamo alla flipped classroom, alla peer education, all’apprendimento immersivo, nonché alla possibilità di includere studenti disabili, ospedalizzati o con altre situazioni di fragilità. Tramite soluzioni Fixed Wireless Access, il 5G permetterà di completare velocemente la disponibilità di connessioni ultra veloci su tutto il territorio nazionale, integrando le aree già coperte dalla fibra, rendendo disponibile in modo diffuso e inclusivo un accesso alla rete con elevate prestazioni e arricchendo così le occasioni e i contenuti formativi, a costi sostenibili. Immaginiamo la possibilità per gli studenti di collaborare con altri istituti scolastici, o con esperti di altri paesi, creando post-it su una lavagna virtuale per fare brainstorming, come se fossero tutti nella stessa aula. Immaginiamo di avere la possibilità per gli insegnanti di aggregare diversi contenuti didattici e renderli accessibili via web e in mobilità a studenti e a altri docenti che possono farli propri o ampliarli a loro volta, creando un patrimonio immenso e facilmente accessibile. Potremo rendere unica e coinvolgente la lettura del terzo canto dell’Inferno con un’esperienza immersiva, dove ci troveremo davanti a Caronte che traghetta le anime dei dannati. Potremo consentire allo studente di riprodurre in virtuale le operazioni previste da un processo industriale nella gestione di macchinari a alta automazione. Si potranno realizzare esperienze di alternanza scuola lavoro ibride, accedendo a aziende, musei o enti pubblici collocati a centinaia o migliaia di chilometri. Sfruttando le caratteristiche di alta densità e bassa latenza del 5G che abilitano la comunicazione tra oggetti (Internet of Things), potremo fare della scuola una piccola smart city. Laboratori remotizzati consentiranno di effettuare un esperimento di chimica da centinaia di chilometri di distanza. La raccolta e l’organizzazione dei big data attraverso sistemi di intelligenza artificiale fornirà informazioni riguardo al progresso cognitivo dello studente, lo potrà mettere in relazione alle metodologie didattiche utilizzate, renderà disponibile un ‘tutor dell’apprendimento’, che potrà proporre esercizi specifici sulla base degli errori commessi o suggerire approfondimenti coerenti con i suoi interessi.
Viene spontaneo chiedersi se la scuola e il contesto che la determina siano pronti per tutto questo. È un tema di politiche pubbliche adeguate e lungimiranti, a cominciare da una consistente operazione di re-skilling: il profilo professionale del personale della scuola, già oggi composito, dovrà esserlo sempre di più. Saranno necessarie figure nuove (Amicucci per esempio ne elenca una dozzina, dal progettista al learning coach, passando per l’instructional designer). Nuove competenze acquisite dal corpo docente o da una parte di esso, ma anche figure che andranno previste ex novo a scuola, nelle reti di scuole, al ministero: possibilità di carriere diverse che consentiranno di arricchire e gratificare anche economicamente il percorso professionale di docenti, dirigenti e personale amministrativo. Grazie alla “Buona scuola” non siamo all’anno zero: il Piano Nazionale Scuola Digitale, la formazione in servizio obbligatoria e strutturale, alcune figure di sistema… Ma sono prescrizioni normative che – per citare una massima di Coppino – ancora non sono diventate consuetudini, “senza le quali non valgono le leggi”. Abbiamo davanti un’opportunità di arricchimento della didattica, a distanza come in presenza, senza vincoli di spazio né di tempo. Nuovi strumenti per stimolare la partecipazione attiva degli studenti, consentire a ogni studente (a prescindere dalla contesto socio economico in cui nasce e studia) di sviluppare competenze e capacità che lo preparino a un futuro da protagonista. Anche i provider tecnologici dovranno fare la loro parte, mettendo a disposizione soluzioni digitali semplici, sostenibili, replicabili e a portata di tutti. Tutto il sistema dovrà mettere in campo visione strategica, capacità di collaborare e coraggio di cambiare.