Beatrice Baldo, docente di lettere presso la scuola secondaria 1º grado, I.C. Dusmet – Doria di Catania, ha partecipato il 21 gennaio scorso al Tablet School di Palermo.
Che cos’è il “protagonismo” degli studenti? Quale tipologia di docente è veramente in grado di farlo emergere? E’ più semplice condividere o imporre gli obiettivi della nostra azione didattica? A queste, e ad altre domande, si cercherà di rispondere in questo post.
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Ospitato dall’Istituto Gonzaga – Centro Educativo Ignaziano di Palermo, il Tablet School di Impara Digitale è ormai per gli insegnanti un appuntamento imperdibile.
Una formula vincente, ideata dall’Associazione della vulcanica Dianora Bardi, che inaugura un modo innovativo di fare formazione. Attraverso svariati workshop che rendono docenti e studenti parte attiva del momento formativo, i Tablet School offrono anche ampio spazio alla riflessione e all’analisi del momento – forse difficile, indubbiamente di transizione – che la scuola italiana sta vivendo.
La formula è oramai consolidata: un breve momento introduttivo in plenaria per i doverosi ringraziamenti all’Istituto Gonzaga e all’operosissimo staff dell’Associazione che coordina una imponente macchina organizzativa; poi qualche parola da parte di Dianora Bardi, che non indora per nulla la pillola e illustra come la grande e innovativa macchina del Piano Nazionale Scuola Digitale stia viaggiando con il freno a mano tirato e su una strada che non sembra più essere così ben delineata come lo era in partenza.
Dianora Bardi ha tenuto un intervento rivolto prevalentemente ai docenti, frutto di una riflessione forte, sentita e dall’evocativo titolo: “Il docente liquido”.
Chi è il “docente liquido”? Un docente che deve uscire dalla standardizzazione della formazione contemporanea, la cui letteratura invita, in maniera ormai piuttosto univoca, a mettere al centro il protagonismo dello studente e la personalizzazione degli apprendimenti, a capovolgere le classi, a scendere dalla cattedra, ad attuare una didattica laboratoriale che però, al di là di belle presentazioni, non sembra per nulla in grado di rispondere alla fatidica domanda che la stessa Dianora pone: Che cos’è il protagonismo degli studenti?
Ed è questo, ma non solo, il punto cruciale.
Quando lo studente è protagonista? Cosa intendiamo per protagonismo?
La risposta di Dianora è secca: senza raccontarci favole, dobbiamo prendere tutti indistintamente atto del fatto che se – statistiche alla mano – i nostri studenti passano metà delle ore di lezione su una media di 5 quotidiane con il cellulare in mano, è evidente come, in classe, per quanto noi possiamo pensare che le nostre lezioni siano attrattive e interessanti, loro facciano altro.
Se questo accade, è su questo che dobbiamo dirigere il focus della nostra riflessione metodologica, educativa, didattica.
Perché accade questo? Come possiamo affrontare la questione?
Un aspetto fondamentale sembra essere quello di puntare il fulcro dell’attenzione di questa riflessione non tanto sul digitale (che Dianora non tira mai in ballo, ma cita solamente in termini di strumento), quanto sull’innovazione. E innovativa è la condivisione, tra docente e studenti (ma anche tra docenti e docenti), di quali siano gli obiettivi e le finalità che ci poniamo di conseguire nel momento in cui proponiamo ai nostri allievi un certo tipo di attività.
Che si tratti del lavoro di gruppo, della ricerca, del fornire materiali per approfondimenti, tenere i ragazzi all’oscuro non solo delle finalità, ma anche dell’ideazione e della progettazione del momento formativo, non farà altro che allontanarli sempre più dal lavoro che devono svolgere, proprio perché non riusciranno mai a percepirlo come qualcosa di “loro”, come un obiettivo che da loro viene condiviso in toto, come un qualcosa che li veda davvero, per l’appunto, protagonisti. Lo studente finirà per sentirsi sempre guidato, imboccato, indirizzato a fare qualcosa rispetto alla quale egli è un estraneo; qualcosa rispetto alla quale non lo avremo aiutato in alcun modo a sviluppare il proprio senso critico, la propria capacità di ricerca e di selezione delle informazioni, l’uso scientifico e produttivo anche dello strumento informatico. Lo avremo privato del sacrosanto diritto all’errore e lo avremo reso passivo: lo avremo, ancora una volta, allontanato, rispedito in quell’altro mondo in cui vive quotidianamente e al quale noi docenti non abbiamo diritto di accesso.
È qui che il docente muta, per certi versi, la propria natura e si trasforma, si adatta, esattamente come l’acqua al proprio percorso o al proprio contenitore: diventa colui che non impone più la propria scelta didattica ma la condivide, che ascolta i propri studenti, evidenzia i nuclei concettuali e i problemi che vuole affrontare e discutere, forte, dal canto suo, di conoscere bene quali conoscenze deve garantire nella formazione dei propri studenti e quali competenze deve permettere loro di acquisire. La liquidità diviene uno stare accanto in un modo diverso, più discreto, permettendo agli studenti di muoversi, di analizzare, di elaborare, di confrontarsi in autonomia, ma indirizzandoli, facendoli contemporaneamente sentire liberi, senza costrizioni di sorta e senza la percezione di essere oppressi dal giudizio del docente. Quando lo studente si libera dal senso dell’oppressione delle quattro mura, del vedere il docente come una entità lontana da sé, quando si riesce a trasferire all’interno della classe un clima di maggiore rilassatezza e libertà, senza per questo far venir meno il rispetto delle regole che invece mantengono un ruolo fondamentale, solo allora lo studente libero sente il docente accanto a sé, lo avverte come qualcuno che gli è vicino, che per certi versi gli è simile perchè vuole e sta imparando insieme a lui. Non lo percepirà più come altro da sé.
In questo setting, il docente riesce ad insinuarsi, ad avvicinarsi ai propri studenti e a costruire insieme a loro, attraverso la collaborazione e la condivisione, il processo di innovazione: lo fa attraverso la scomposizione degli ambienti e la scomposizione dei rapporti interpersonali. Ma questo deve essere anche, dal docente, trasposto nel rapporto e nelle dinamiche del consiglio di classe, perchè l’ottica collaborativa non può e non deve rimanere esclusa dalla progettazione del corpo docente. La progettazione non può e non deve essere autoreferenziale, assoluta, sganciata dalla collaborazione con gli altri insegnanti, con la consapevolezza che il lavorare insieme e il confrontarsi con gli altri rappresenta la parte più difficile del nostro percorso di docenti. In tutto questo processo, la tecnologia entra solo ed esclusivamente come strumento, il focus deve essere la didattica.
In quest’ottica, il docente liquido, con il suo insinuarsi, riesce a permeare di sé e del proprio sapere lo studente, garantendone al contempo la libertà, la creatività e sviluppandone le competenze sociali, relazionali, la capacità di risoluzione dei problemi, e assicurandosene la collaborazione, la stima, il rispetto, senza che essi temano di essere costantemente sottoposti a giudizio.
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