Dianora Bardi e Marcella Jacono, co-fondatrici di ImparaDigitale, riflettono sul disegno di riforma del sistema di valutazione, in questi giorni in discussione in Parlamento.
Da una prima analisi del testo sembra emergere la dicotomia: Valutazione degli apprendimenti vs Valutazione delle competenze. Siamo sicuri che sia quello di cui ha bisogno la scuola italiana?
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In questi giorni molto si sta discutendo intorno ai decreti legislativi collegati alla “Buona scuola”.
L’impianto generale è condivisibile, si parla di come sia necessario preparare i nostri ragazzi ad una società digitale, si parla di didattica innovativa in cui le tecnologie risultano davvero essere uno strumento prezioso e abilitante: si è tracciata una direzione verso una scuola delle competenze e non solo delle conoscenze e dei soli saperi teorici. Tutto impostato correttamente, una “rivoluzione” ben sostenuta dalla “Buona scuola” anche con il documento sulla formazione in servizio dei docenti.
Fino a che non si giunge allo schema di decreto legislativo recante norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato (Atto del Governo 384). Si inizia dall’art. 1 “Oggetto e finalità della valutazione e della certificazione” e si prosegue per tutto il documento. Leggiamo che oggetto della valutazione saranno gli apprendimenti, mentre la valutazione delle competenze verrà relegata solo ai comportamenti.
A questo punto iniziamo a riflettere…
Noi docenti siamo abituati ad adattare e modificare il nostro “fare Scuola”, i modi di essere, di agire, di relazionarci, di progettare e di valutare in relazione ai diversi contesti comunicativi, ai diversi bisogni, ai nuovi strumenti, alle richieste della comunità e soprattutto ai dettati legislativi e alle nuove normative, legate alla trasformazione della società e quindi alla formazione del nuovo cittadino.
L’introduzione della certificazione per competenze (obbligatoria dal 2006 negli Istituti professionali e quindi dal 2010 in tutti gli altri ordini di scuola) ha comportato un ripensamento profondo della didattica, del nostro agire in classe, della progettazione: moltissimi di noi hanno cercato di comprendere le richieste che vengono dai cambiamenti sociali e dai nuovi modi di agire, di comunicare, di pensare dei giovani. Per questo i docenti si sono informati e formati ripensando il loro ruolo in un contesto di costruzione di competenze. Dovendo certificare le competenze, è consequenziale articolare i momenti, le occasioni, gli strumenti, gli indicatori, le rubriche della valutazione nei diversi percorsi nel corso dell’anno scolastico, per arrivare ad una certificazione motivata e documentata dalle valutazioni in itinere. Valutare gli apprendimenti è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Restringendo la valutazione per competenze al solo comportamento, si sorvola sulla fondamentale fase della riflessione e della metacognizione, che implica protagonismo e costruzione del sé, riportando la cultura di nuovo ad una visione idealistica e individuale, allontanandola dalla sua spendibilità e progettualità, vanificando l’alternanza scuola-lavoro.
Continueremo a formare studenti “dotti” ma non in grado di inserirsi nel mondo, poiché non sapranno utilizzare quanto appreso a scuola, come ci è stato ripetutamente detto in tutti gli anni passati?
E non basta inserire la valutazione per competenze nella certificazione di fine ciclo.
Le competenze si costruiscono gradualmente, attraverso un processo complesso di autovalutazione: come si può pensare di fare questo durante l’arco dell’anno se il legislatore non lo chiede?
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