Franco Amicucci
Autore di Apprendere nell’infosfera, Franco Angeli
Viviamo nell’epoca dove sono presenti opportunità di apprendimento come mai nella storia.
La vita privata e lavorativa sono sempre più popolate da APP, realtà virtuale e aumentata, coach virtuali, sistemi di intelligenza artificiale e ambienti digitali che integrano e fanno evolvere la formazione tradizionale, come l’abbiamo conosciuta nelle scuole e nelle aziende, la cosiddetta formazione formale, la formazione che rilascia titoli ed attestati e rendono sempre più centrale il valore dell’apprendimento informale e non formale. E’ in nuovo apprendimento nell’infosfera.
I radicali cambiamenti della nostra epoca, che saranno sempre più intensi e veloci, creano infatti un nuovo scenario per l’apprendimento, dove l’aggiornamento continuo, per tutto l’arco della vita, è la dimensione con la quale scuola, aziende e città dovranno ripensare profondamente il proprio agire formativo.
Una visione già presente nel memorandum della Commissione Europea, redatto a Lisbona nel 2000, sull’istruzione formazione permanente, per vivere nella “società basata sulle conoscenza”, seguito dalle linea guida del Cedefop (2009), Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale. Nel memorandum è introdotta la classificazione di formale, non formale e informale e sono resi d’uso comune i concetti di “lifelong learning” e “lifewide learning” e in queste categorie rientrano tutti gli apprendimenti risultanti dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia, al tempo libero, apprendimenti a volte intensionali, ad esempio decido di leggere un libro, ma è ormai prevalentemente non intenzionale, frutto del vivere ormai immersi nella dimensione ibrida fisica e digitale dell’infosfera, che permette, a determinate condizioni, una continuità di apprendimenti esperienziali, incidentali o casuali.
Ma le opportunità di apprendimento presenti nell’infosfera, saranno colte da chi saprà acquisire le nuove competenze dell’apprendimento: self-directed learning, abilità digitali e sociali avanzate, disponibilità ad apprendere (e disapprendere vecchi schemi) per tutto l’arco della vita, pensiero critico, abilità di analisi e sintesi. Ecco allora che i sistemi formativi, scolastici ed aziendali, pubblici e privati, sono di fronte ad una grande sfida, ben più profonda ed impegnativa della semplice introduzione della dimensione digitale dell’apprendimento, che dobbiamo dare ormai per scontata, e la sfida è quella di creare nuovi contesti di apprendimento.
Così come l’introduzione della scrittura prima e della stampa poi rivoluzionarono l’apprendimento umano, la rivoluzione digitale che stiamo vivendo è forse la più grande, per intensità e radicalità, mai vissuta nella storia umana.
Tra le tante sfide, possiamo metterne in evidenza tre:
1.La sfida metodologica
La formazione, dei giovani e degli adulti, non potrà più basarsi solo sul trasferimento di informazioni, ma dovrà modellare le abilità dei moderni cacciatori e raccoglitori della conoscenza, che esploreranno le terre di un futuro con cambiamenti improvvisi e innovazioni sempre più radicali.
L’autorità del docente e del formatore aziendale è sempre meno basata sull’autorità del saper trasferire contenuto, ormai liberamente disponibile in ogni snodo dell’infosfera, ma sulla capacità di orientare, costruire mappe di orientamento, fornire metodi per apprendere nei nuovi contesti ibridi. Dal potere del contenuto, ormai disponibile gratuitamente, al potere del metodo, risorsa rara e preziosa.
Il tema dell’upskilling e reskilling, richiamato più volte nel PNRR, coinvolge allora, forse in modo prioritario, anche tutto il mondo della formazione, dei progettisti, decenti, formatori, dirigenti scolastici2…
2.La sfida disciplinare
Non si potranno adeguare le competenze dei lavoratori, formare i giovani alle sfide del futuro, con i vecchi metodi formativi dell’epoca industriale, dove il taylorismo ha pervaso scuole, università e tutti i sistemi formativi con la separazione dei saperi, specializzazioni non dialoganti.
Edgar Morin, che l’8 luglio compie 100 anni, da sempre ci raccomanda di “insegnare i metodi che permettano di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti e un mondo complesso”, evidenziando i pericoli delle specializzazioni chiuse e della frammentazione del pensiero, che genera un’intelligenza miope. La vecchia scuola, figlia dell’epoca industriale, ha questo rischio.
Formazione tecnica ed umanistica, soft ed hard skill, arte e tecnologia hanno bisogno di contaminazioni reciproche, percorsi formativi integrati.
3.La sfida delle Digital Learning Cities
Se leggiamo la città come parte dell’infosfera, possiamo ripensare ogni città come luogo dove sono presenti grandi opportunità di apprendimento, in modalità formale ed informale, fisica e digitale. Ma è una ricchezza nascosta, frammentata. L’esperienza della città di Chigaco, con il progetto lrng.org, dimostra come sia possibile creare una visione d’insieme di tutte le opportunità formative formali e non formali presenti nella città, fruibili per tutto l’arco della vita, con certificazioni e attestazioni che creano curriculum dinamici, veri e propri conti correnti intellettuali a prova d’inflazione. Già nel 2015 l’Unesco aveva lanciato il progetto delle learning city, con timide adesioni in Italia, rimaste sulla carta.
In ogni città sono presenti scuole di eccellenza, Academy aziendali che sperimentano le più evolute modalità didattiche, tanti luoghi di apprendimento legate alle passioni umane, alle arti, allo sport. Le reti sono a basso investimento finanziario, ma sono un grande investimento culturale che richiede una rottura della cultura delle separazioni e delle frammentazioni.
Ma è una sfida da raccogliere, una sfida per il futuro di tutti noi.