Quanto i metodi e gli strumenti d’insegnamento attuali sono allineati con le trasformazioni antropologico-culturali delle nuove generazioni, nate nell’era digitale?
Risponde alla nostra domanda MASSIMO CHIERICI, esperto di comunicazione digitale e digital enabler free lance che si occupa di sviluppo di strategie e politiche organiche di presenza online per le imprese. Dal 2011 al 2016 è stato anche il referente del Gabinetto del Sindaco al tavolo dell’Agenda Digitale del Comune di Milano.
È una domanda che si ripropone sempre più di frequente a docenti e genitori e la cui risposta, inevitabilmente, evidenzia la stringente necessità di offrire agli studenti progetti formativi e strumenti didattici in linea con le possibilità offerte dall’evoluzione tecnologica, che sono diventate centrali nel loro quotidiano.
Dobbiamo, infatti, necessariamente partire da un assunto generazionale: secondo l’Osservatorio delle tendenze e dei comportamenti degli adolescenti, le rilevazioni sulla iGeneration indicano che gli adolescenti italiani si connettono quotidianamente alla rete dalle 7 alle 13 ore, che sia attraverso il computer, uno smartphone (il 90% dei ragazzi italiani di età superiore ai 10 anni ne possiede uno) o un tablet (qui la percentuale di penetrazione scende al 50%, ma resta un dato di enorme portata).
Se è un dato consolidato che le nuove generazioni regolarmente socializzino e si informino per scopi didattici in ambiti digitali, numerose altre ricerche attestano anche che, attraverso il gioco, all’interno delle relative comunità virtuali, i più giovani sviluppino capacità naturali di interazione sociale, di organizzazione individuale e di risoluzione dei problemi, arrivando ad esprimere con maggiore facilità il proprio pensiero creativo e l’entusiasmo in ciò su cui si applicano.
Metodologicamente la struttura dei giochi, inoltre, offre la possibilità di sperimentare l’assunzione di responsabilità evitando, nel processo di apprendimento, di incorrere in processi ansiogeni legati al rischio: sbagliando e immediatamente provando nuovamente a completare i vari task, i giovani sono incentivati a superare le criticità in maniera reattiva, costante, positiva anche nel loro quotidiano.
Diventa, quindi, ineludibile la necessità di favorire, attraverso la divulgazione del Game Thinking e del suo paradigma fondativo, la piena comprensione di questo background da parte dei professionisti della didattica. Questo consentirà di colmare quel gap generazionale che, a causa della rivoluzione digitale (i cui strumenti e declinazioni sono sempre in costante accelerazione), rischia di allargarsi eccessivamente rispetto a quelle nuove generazioni che, con maggior immediatezza, sanno cogliere le nuove tendenze. All’interno di questo contesto, cominciano a farsi strada alcune realtà che sollecitano un ripensamento di metodologie e approcci formativi. Una tra queste è Digital Bros Game Academy, l’accademia di formazione dei futuri professionisti della Game Industry che si è distinta a oggi, proprio per i metodi e i contenuti innovativi applicati al training.
L’accademia è stata scelta come consulente e fornitore di know how per Game@School, l’Olimpiade Nazionale del Videogioco nella Didattica, oggi alla seconda edizione.
La scelta è caduta sulla realtà milanese perché una delle più attente e impegnate nel monitoraggio e nello sviluppo dell’universo del gaming professionale, delle sue tendenze e dei suoi sviluppi concettuali e tecnologici. Aspetto fondamentale questo, dal momento che gli ambiti di utilizzo del Game Thinking si mostrano in costante ampliamento e in continuo divenire.
Se i concetti di Gamification e Serious games sono sempre più condivisi e accreditati, presto questo accadrà anche per quel Game Thinking che li presiede e che, se applicato ai processi e metodi della didattica scolastica, si rivelerà un pensiero portatore di nuove e interessanti opportunità nell’insegnamento, riuscendo a coniugare con la massima efficacia il coinvolgimento degli studenti con i loro bisogni formativi.
Ma cos’è dunque il Game Thinking e che tipo di obiettivi può conseguire la sua adozione in ambito formativo e scolastico?
Seguendo una descrizione gerarchica dei suoi elementi costitutivi, dobbiamo immaginare il Game Thinking come un contenitore concettuale, che, ispirandosi a una progettazione di applicativi dall’estetica gradevole, da un’interfaccia utente intuitiva, da un tono narrativo e regole proprie ai giochi digitali (Game Design), realizza non scopi ludici fine a sé stessi, ma precisi obiettivi didattici attraverso:
- Processi di Gamification, ovvero:
- una strutturazione dei contenuti che, attraverso un percorso per step con verifiche e punteggi intermedi e reward finale, risponde efficacemente all’obiettivo di far assimilare concetti complessi, focalizzando l’attenzione dello studente sulle singole fasi di “gioco”
- l’adattamento dei contenuti al linguaggio proprio dei giochi digitali, che agisce, però, su aspetti squisitamente motivazionali e peculiari alle caratteristiche del singolo studente: la ricerca di un maggiore riconoscimento sociale, la volontà di essere autonomo nel proprio ruolo, il raggiungimento di un’abilità specifica o il conseguimento di uno scopo percepito come alto.
- La struttura dei Serious game che, valorizzando l’esperienza nell’interazione di gioco (gameplay), possono essere suddivisi in:
- Teaching Game. Dove l’obiettivo della didattica risiede in un apprendimento tradizionale come può essere, ad esempio, quello di una lingua straniera o di regole matematiche.
- Simulatori. Che replicano con esattezza le funzionalità di un oggetto reale: dal più diffuso, come può essere un mezzo di locomozione fino ad arrivare a replicare le dinamiche di strumenti professionali di complesso utilizzo come, ad esempio, le sonde per gli interventi chirurgici in endoscopia.
- Meaningful Game. Che, agendo su le chiavi emozionali legate alle scelte durante il gioco, invitano alla riflessione creando così i pre-requisiti per la mnemonizzazióne di concetti più alti come possono essere quelli legati alle tematiche sociali.
- Purposeful Game. Che consentono un ritorno concreto nel reale nell’assimilare strutture cognitive complesse, come possono essere quelle legate ai processi chimici o biologici, da applicare poi in laboratorio.
Esistono, infine, applicazioni che potremmo definire “ibride”, a disposizione degli insegnanti per la gestione della classe, della didattica e per ottimizzare i rapporti con gli studenti e le loro famiglie.
La più diffusa, ClassDojo, è una app che, pur caratterizzandosi come game thinking-oriented per funzionalità e design, si pone come obiettivi una miglior gestione della didattica tradizionale, lo stimolo alla partecipazione attiva degli studenti, la misurazione dei risultati, la cooperazione durante il lavoro di gruppo e l’incentivazione alla buona condotta degli alunni nel reale.
In conclusione di questa sintetica panoramica, la sfida del Game Thinking applicato alla didattica stimolerà lo sviluppo di applicativi realizzati in stretta collaborazione con i professionisti della formazione, tenendo conto delle necessità imposte da molteplici fattori: l’usabilità delle funzionalità di gestione per i docenti, l’armonizzazione dei contenuti didattici con i programmi ministeriali, un Game Design sempre accattivante e aggiornato alle evoluzioni e alle possibilità tecnologiche dei device più diffusi tra le nuove generazioni.
Massimo Chierici
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