Laura Biancato, Dirigente Scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore “Mario Rigoni Stern” di Asiago (VI), condivide con tutti i lettori del nostro Blog impressioni e riflessioni sulla partecipazione al BETT, svoltosi a Londra dal 24 al 26 gennaio 2018.
Prima di iniziare la mia personale cronaca dell’edizione 2018 del British Educational Training and Technology Show (BETT) Show, devo fare una premessa: non ho un punto di vista “neutro”, rispetto a questo tipo di fiera.
Ci vado, in genere, perché mi aspetto di trovarci qualcosa di eccellente, e non di semplicemente innovativo. Mi spiego. Da diverso tempo ho abbandonato una iniziale, quanto provvisoria e poco produttiva, frenesia per le novità tecnologiche e le mode mordi e fuggi, e sono tornata ad approfondire ciò che so e so sperimentare meglio: le metodologie, i fondamenti pedagogici, i percorsi formativi, con una particolare attenzione alle soft skills e a ciò che consente di realizzarle all’interno della scuola. Con questo atteggiamento ho messo piede all’Excel London per la terza volta in occasione del BETT Show 2018. Per chi non lo conosce, il BETT è un’enorme fiera di proposte per la scuola innovativa, integrata da seminari, incontri, approfondimenti nell’arena centrale, nelle aule minori e presso gli stand delle aziende. Dunque, una giostra di sollecitazioni di alto livello e di grande impatto, visto che i maggiori venditori mondiali sono presenti ogni anno, mettendo a disposizione enormi ed attrezzatissimi luoghi di incontro e di formazione.
Il mio impatto con la fiera 2018 è stato particolarmente influenzato dal dibattito, tutto nostrano, sul BYOD, scatenato negli ultimi giorni dall’uscita dell’ormai arcinoto “decalogo” del Miur. Venivo da una sorta di indigestione di improbabili dibattiti sull’argomento, dove il refrain era (e resta, purtroppo) “in Inghilterra sono tornati indietro sull’uso dei device personali in classe e bla bla bla…”. Niente di piú contrastante con le proposte che la manifestazione ha offerto in questa edizione.
Una buona parte delle aziende espositrici trattavano, manco a dirlo, sistemi integrati per supportare le scuole nella gestione del BYOD, con modalità decisamente smart e personalizzabili, e con una grande attenzione alla sicurezza in rete, alla condivisione interna, alla collaborazione con le famiglie. Se ne ricava immediatamente l’impressione che nel Regno Unito la diffusione di modalità didattiche fondate sulla normale introduzione dei dispositivi individuali in classe sia ormai uno standard consolidato. A differenza di quanto accade in Italia.
Si potrebbe poi aprire una parentesi sulla qualità e il livello di innovazione dei sistemi di gestione che le aziende inglesi propongono alle scuole, e a quanto siano lontani dall’essere esportabili da noi, dove il livello di burocrazia e i vincoli normativi impedirebbero, di fatto, di accedere a questi prodotti, anche se fossero disponibili in italiano. Un piccolo esempio, ma significativo: la proposta di un software che si basa sul riconoscimento facciale e che sostituisce il badge, non solo degli studenti ma anche del personale. Velocizza ovviamente le operazioni in fase di ingresso a scuola, è sicuro, ma in Italia sarebbe vietato dalla normativa sulla tutela della privacy.
Novità tecnologiche? Non molte e non particolarmente significative.
Molti monitor touch, che stanno (a mio parere, a ragione) sostituendo le LIM.
Molta robotica educativa. Se dovessi indicare lo strumento più interessante che ho visto, direi Pi-Top, un laptop modulare che comprende strumenti per imparare a programmare e creare nuovi dispositivi. Sarà disponibile in Italia tra qualche mese, e si può prevedere che avrà un bel successo, anche perché adattabile ai diversi ordini di scuola. Ottime le proposte dei colossi Google e Microsoft, all’insegna di una gestione delle piattaforme education come potentissimi ed infiniti strumenti didattici e di comunicazione.
Poco, pochissimo sugli ambienti di apprendimento, anche a livello di seminari. Su questo, forse, la ricerca educativa in Italia ha qualcosa da insegnare.
Nulla sulle risorse aperte; anzi, troppi pacchetti di contenuti preconfezionati. La didattica per competenze sfiora il BETT e passa oltre.
La domanda conclusiva, anche vista l’elevata presenza di visitatori italiani, è la seguente: vale la pena di macinare chilometri e sostenere costi per visitare questa annuale rassegna delle tecnologie per la scuola? Fino allo scorso anno avrei detto senza dubbio di sì. Ma ora abbiamo Didacta, manifestazione tutta italiana voluta da Indire. Più contenuta e familiare, forse. Molto più calata sulla didattica, gli ambienti di apprendimento, le tecnologie (proposte dalle più importanti aziende del settore) dichiaratamente funzionali alle metodologie innovative con seminari e proposte formative accessibili e di grande qualità.
Quello che ci serve, insomma, e a portata di mano. Fate i vostri conti!
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