da un’esperienza di Anna Locchi
Insegnante presso la scuola Primaria “G. Cena” – Perugia
PRESENTAZIONE
Raccontati in un tweet
Esploro le innovazioni con impegno e curiosità. La sintesi non è il mio forte e trovo difficile raccontarmi in 140 caratteri. Sono una maestra, lavoro e ricerco ogni giorno con passione!
ISPIRAZIONE
Quali visionari o quali esperienze ti hanno formato e ispirano il tuo lavoro quotidiano?
La mia visione si basa sulla scuola costruttivista di Dewey, Bruner e Piaget, secondo la quale un apprendimento solido e duraturo in grado di sviluppare competenze, si può promuovere solo grazie al pieno coinvolgimento dell’alunno al processo di conoscenza. Condivido ed applico da didatta le loro teorie, implementandole con ciò che offre la moderna tecnologia, perché essa è strumento e veicolo di conoscenza e, nel contempo, un ulteriore punto di vista che allarga gli orizzonti e gli stili di apprendimento. Come sostiene Gardner, infatti, ciascun essere umano apprende attraverso propri strumenti e stili conoscitivi che spaziano dalla operatività manipolativa sulle cose all’alta tecnologia.
INNOVARE, TUTTI I GIORNI
In poche parole, qual è il metodo didattico che orienta e contraddistingue le tue azioni di insegnante, quotidianamente?
Tradurre l’impianto teorico sul quale baso la mia professione di maestra in operare quotidiano, è il compito più complesso del nostro mestiere. La strada che ho scelto è quella della didattica laboratoriale, del fare manipolativo e del fare cognitivo.
Non è semplice spiegare in poche parole il concetto racchiuso in questi due termini: intendo per didattica il luogo dei contenuti, delle operazioni mentali, dei concetti chiave; per laboratorio la strategia operativa tesa a favorire ragionamento sulle cose, confronto collettivo, ripensamento e condivisione delle generalizzazioni nate dalla evidenza prodotta da plurime sollecitazioni su uno stesso contenuto. Quindi non un laboratorio in senso fisico – da non sottovalutare per certe discipline – quanto un laboratorio cognitivo, in cui ciascuno si senta libero di esporre il proprio pensiero e di considerarlo un punto di vista non esaustivo.
CHE CLASSE!
Descrivi la tua aula, gli arredi, gli strumenti, le eventuali dotazioni digitali
La nostra scuola, ora parte dell’Istituto Comprensivo Perugia 4, conta circa 400 alunni. È un grande edificio di 4 piani, con spazi molto ampi e luminosi.
Grazie ai fondi strutturali europei dedicati al Piano Operativo Nazionale (PON) del MIUR, abbiamo attrezzato, tramite un processo di progettazione partecipata tra insegnanti, bambini ed esperti esterni, un’aula digitale polivalente, uno spazio dove i banchi sono strutture componibili e mobili, le sedie sono leggere e facili da spostare, i mobili sono attrezzati per la ricarica di dispositivi elettronici, gli armadi ed i pannelli divisori sono mobili e modulari. Si tratta di uno spazio flessibile, in grado di adattarsi alla sperimentazione di nuovi approcci educativi, al flusso di lezioni dinamiche, che propongono modalità di confronto, pratiche didattiche e fasi di lavoro differenti.
ALUNNI COMPETENTI AL CENTRO
Raccontaci un’esperienza didattica nella quale hai potuto osservare la crescita e le competenze “agite” dei tuoi alunni
Lo scorso anno si è avviato un percorso dal titolo “Digital Storytelling per l’integrazione intergenerazionale e la cittadinanza attiva”, finanziato con un bando della Regione Umbria a valere sul fondo regionale, che ha coinvolto quattro classi del nostro Istituto (due 3° e due 4°).
Tra le varie progettualità attive nella nostra scuola e a cui sono chiamati a partecipare i miei alunni, mi ha colpito il modo in cui questa esperienza sia riuscita a creare un “ambiente scolastico allargato”, permettendo ai ragazzi di entrare in contatto con un team multidisciplinare in grado di trattare con delicatezza, approfondimento culturale e disciplinare, spirito critico e creativo il delicato tema delle migrazioni.
Siamo partiti dall’analisi diretta del fenomeno. Ogni alunno ha sottoposto alla propria famiglia un’intervista, rendendola parte attiva del progetto. Abbiamo raccolto storie di nonni che hanno lasciato la propria terra per povertà o guerre, storie vissute in prima persona di famiglie in cerca di un futuro migliore, storie di fratelli o sorelle in cerca di una professione adeguata al proprio percorso di studi, storie di amori così intensi da convincere i protagonisti a lasciare tutto.
Storie vicine e storie lontane, diverse, ma, abbiamo scoperto, simili tra loro.
Le abbiamo scomposte ed analizzate, isolando le così dette costanti migratorie. Abbiamo capito che si parte sempre per un motivo e che, sia esso bello o brutto, non è mai facile decidere di farlo, che ogni partenza nasconde una serie di scelte importati.
Con questo bagaglio di informazioni, sensazioni ed esperienze, ogni classe ha elaborato una storia nuova, verosimile o fantastica:
- La storia di un’invasione aliena che costringe i bambini a scappare, per poi capire che il non aver paura diminuiva l’aggressività degli alieni.
- La storia di un tempo futuro in cui arriva un dittatore sotto forma di serpente che ipnotizza tutti i bambini, tranne quelli con gli occhiali, di solito presi in giro e che invece salvano tutti.
- La storia di alcuni ricercatori che vanno in Marocco per trovare una cura efficace e che, dopo tante peripezie, tornano in Italia con altri studiosi marocchini che li hanno aiutati.
- La storia di un uomo e una donna che partono dal Brasile per curare una malattia rara.
Il processo di creazione della narrazione è stato supportato dall’intervento di professionisti del linguaggio cinematografico che hanno spiegato ai bambini come raccontare sia un’abile tecnica, di come esista una struttura dietro ogni racconto e di come seguirla ci aiuti a renderlo interessante ed avvincente.
Da questo confronto le storie sono state completamente riviste, assumendo un impianto narrativo solido ed efficace che è poi stato trasformato in una serie di sequenze disegnate a comporre le singole scene, complete di ambientazioni e definendo lo storyboard da seguire. Lo storyboard diventa così la base per il lungo processo di animazione in stop motion che ha visto i bambini confrontarsi con strumentazioni tecniche professionali come computer, smartphone, macchine fotografiche, luci, applicazioni digitali, tecniche cinematografiche, piani ripresa, composizione.
Questo lungo ed articolato percorso ha accompagnato circa 80 bambini per un intero anno di lavoro, un anno che li ha visti crescere e maturare competenze di tipo tecnico, disciplinare ed interpersonale davvero sorprendenti.
ZOOM SUI FERRI DEL MESTIERE
Di quale strumento o risorsa digitale non puoi fare a meno nel tuo lavoro? Con quali modalità lo utilizzi?
Ritengo che la scuola primaria – lo dice la stessa parola – debba concentrarsi nel fornire all’alunno le primarie conoscenze circa l’uso degli strumenti tecnologici, per lui molto più manipolabili e concreti (intendo le parti tecniche funzionali alla scrittura, all’inserimento di immagini, al salvataggio, ecc…). Per questo motivo, parto sin dalla classe prima nel cimentare i miei alunni all’uso della tastiera. A fronte di un’abilità acquisita, i miei alunni sono in grado di esplorare linguaggi e codici semplici html per la scrittura online: veder comparire il proprio pensiero in Internet è fonte di forte gratificazione e motivazione a produrre elaborati curati morfosintatticamente, usando lessico complesso, a concordare con i compagni definizioni, recensioni, ricerche. Per questo mi avvalgo di strumenti abbastanza comuni, come i tablet e la LIM.
Tra le risorse più utilizzate ci sono quindi la videoscrittura, l’ipertesto, il movie maker, programmi di grafica tra cui GIMP o di coding, come Scratch, tutti adeguati alle età e alle conoscenze dei miei bambini.
Quali le potenzialità, le ricadute formative, le possibili criticità?
Usare programmi semplici rende gli alunni in grado di fronteggiare le difficoltà cognitive di ordine linguistico e logico, produce capacità di selezione, di ricerca, di pianificazione, di coordinamento oculo-manuale, di riflessione e rielaborazione, di apertura al mondo e di relatività del proprio pensiero: tutto dettato da forte motivazione a scoprire un mondo troppo spesso relegato all’aspetto ludico e ricreativo.
Non nascondo le criticità che derivano da questo ulteriore strumento di conoscenza: esse sono di vario tipo, dalla sopravvalutazione dello strumento tecnologico, come capace di divenire il sostituto del libro cartaceo, della riflessione scritta sul quaderno, della lavagna o del cartellone alla esposizione eccessiva ai vari devices o alla perdita di interesse per le relazioni sociali.
Inoltre il pericolo più serio in cui si rischia di incorrere sta nell’uso improprio di Internet, il cui facile accesso può causare gravi situazioni di ordine psicologico.
Il mio obiettivo primario è la promozione di competenze gestionali delle TIC, la conoscenza, infatti, abbatte il pericolo e favorisce una consapevolezza che oserei definire di cittadinanza etica del digitale.
CONDIVISIONE
Studenti, famiglie, colleghi. Chi sono le persone con le quali condividi idee, progetti, metodi, esperienze, dubbi?
Una recente intervista alla virologa italiana Ilaria Capua riporta una sua dichiarazione in cui afferma che le nuove generazioni sono naturalmente portate alla condivisione. Lo credo fermamente anche io, ma nonostante non appartenga a questa nuova generazione, non sono mai stata una di quelle che “metteva il braccio sul compito per non farlo copiare”. Credo fortemente nel valore della condivisione di idee, pratiche, competenze, dubbi, timori.
Nel nostro istituto si è costituito un gruppo di docenti – fortemente sostenuti da una dirigente attenta all’innovazione e alla sperimentazione – che corrisponde a circa un quarto del collegio docenti che opera in stretta sinergia sul digitale, ne fa oggetto di autoformazione, di progettualità, di sperimentazione documentata e condivisa nelle sedi collegiali. Un lavoro che accompagna la didattica tradizionale che costa fatica ma che ci rende continuamente attivi per la ricerca delle opportunità che le tecnologie offrono al processo di insegnamento/apprendimento.
FUTURO
Come immagini la scuola che sarà?
Immagino, o meglio sogno, una scuola che sia in grado di fornire al discente varie opportunità di apprendimento, che usi colla, carta e forbici, quaderni e libri, tablet e Internet, che non abbia paura del nuovo, ma lo veda come fonte di curiosità e scoperta.
Credo che la scuola che verrà sarà più “piena” di strumentazioni e di connessioni, con zaini più leggeri, ma che, per citare Morin, non perderà di vista una “testa ben fatta” capace di gestire il cambiamento, maggiormente flessibile all’innovazione, anche grazie alle competenze acquisite in termini tecnologici. Un mondo che non sta alla finestra ma che è parte della nostra vita.
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