Il fatto che i bandi PON vadano a ricalcare la struttura cristallizzata fra momento curricolare didattico dedicato alla lezione e momento didattico del recupero, in un’ottica, ancora una volta, di articolazione della lezione frontale, fa riflettere soprattutto perché con l’autonomia scolastica avremmo dovuto aspettarci qualcos’altro. Avremmo dovuto aspettarci cioè che dal problema (ad esempio dal basso livello delle competenze di base) si fosse riusciti a trarre il massimo vantaggio in termini di innovazione, sperimentazione e sviluppo della didattica per l’apprendimento.
Il fattore dell’innovazione è infatti condizionato a monte dalla complessità dei problemi che si propone di affrontare, pertanto dalla necessità di crescere ed evolversi in un ambiente anch’esso ispirato alla complessità. Non certo da divari, divaricazioni e disuguaglianze qual è quello in cui ci troviamo oggi. Il problema posto da Dianora sulla staticità e sul rischio di ritrovarci ad affrontare, tra disillusione e disincanto dei docenti, un ritorno all’indietro, al passato, è fondato, soprattutto perché ciò che manca intorno alle soluzioni che vengono proposte e vengono poste alle scuole, è una visione sistemica in grado di ricavare vantaggio dalla crisi.
L’autonomia scolastica serve a questo e non per niente mette al centro il curricolo e mette in sinergia l’autonomia organizzativa, didattica di ricerca, sperimentazione e sviluppo, come base su cui poggiare per affrontare la complessità.
Eppure ancora oggi dobbiamo constatare che per affrontare questioni nuove e complesse, gli analfabetismi nuovi e di ritorno, ci rifacciamo a canoni desueti che, per altro, come nel caso degli Idei, sono già stati oggetto di dibattito e di accesa discussione nella società, riflettono l’idea di una scuola lineare, che mette gli interventi in fila indiana invece di integrarli.
Si continua a pensare che la scuola debba e possa impegnare per tutto il tempo possibile, di mattina, pomeriggio, sera, vacanze estive ecc., studenti che, in realtà, fatta forse eccezione per le esperienze extracurricolari, tendono invece a fuggire per la tangente, alla ricerca del loro tempo perduto. Su questo potremmo e dovremmo affrontare un approfondito esame di tipo sociologico.
Il curricolo invece impone una prospettiva di integrazione della dimensione sincrona e asincrona dei saperi, fra esperienze in presenza e a distanza, in un quadro di autenticità e significatività dell’esperienza formativa che altrimenti rischia di non produrre risultato e confermare, piuttosto, l’attuale andamento verso forme di sfilacciatura e dissipazione.
Spesso le attività di recupero a cui siamo abituati seguono un’idea sommatoria lineare di momenti che risultano infilati quasi a forza nel curricolo di scuola ovvero nella vita degli studenti (sarebbe interessante calcolare, ad esempio, l’indice di supplenza riguardante i corsi di recupero). L’idea dominante resta infatti quella della separazione dei vari momenti, oltre che tra scuola e vita, anche nella vita stessa della scuola e del coinvolgimento del cosiddetto “recupero nella didattica curricolare”.
La difficoltà ad immaginare un’organizzazione integrata della didattica del recupero o del potenziamento è di per sé un problema che riflette il modo di intendere l’autonomia scolastica che, al di là di una competitività fra scuole (che però rischia di contaminare, come già sta facendo, in senso divisivo e individualistico il pensiero educativo generale) non è riuscita ad andare. I dati sui risultati raccolti a livello nazionale (ad esempio dall’Invalsi) o internazionale (ad esempio dall’Ocse) ci dicono che il nostro sistema scolastico produce bassa equità educativa, è eccezionalmente esposto ai fattori di varianza e alla riproduzione della disuguaglianza.
La lettura complessiva dello scenario infatti ci dice che si è finiti dentro ad una specie di circolo vizioso che assomiglia un po’ a quello che è avvenuto in economia con l’aumento dei fattori divaricativi. A dispetto di una certa cristallizzazione dell’offerta formativa delle scuole, la differenziazione ha agito rispetto nella segmentazione in accesso e in uscita dai percorsi scolastici. Infatti se si guardano i dati Invalsi comunicati alle scuole per la compilazione del Rav, viene fuori che soltanto una percentuale irrisoria ha fatto ricorso all’autonomia organizzativa e alla flessibilità organizzativa e del curricolo, mentre le scuole, si caratterizzano sempre più in base ai fattori di origine degli studenti mentre si abbassa il livello di equità educativa del sistema scolastico, tanto che lo si comincia a definire con la formula sistema a “macchie di leopardo”.
In una situazione del genere a fare la differenza sono le divisioni e i vuoti più che le connessioni e i riempimenti, i ponti. L’autonomia scolastica ha ancora bisogno di un governo complessivo dello sviluppo delle relazioni interne ed esterne alle scuole, a partire dalle questioni del curricolo. Non c’è stata infatti, nonostante all’inizio fosse stato fatto il tentativo di riorganizzare in questo senso i provveditorati o comunque di riformare gli organi collegiali territoriali, quella costruzione di sinergie, interconnessioni e corresponsabilità che servissero per tenere unito l’arcipelago dell’autonomia scolastica nel territorio. Le scuole hanno finito per farsi concorrenza e per contendersi gli studenti migliori in uscita dalle scuole medie, favorendo, invece di contrastare, la stratificazione sociale (e torniamo al discorso sull’equità). Serviva e serve ancora un sistema di raccordo e collegamento dell’autonomia scolastica in orizzontale fra le istituzioni scolastiche e le varie realtà del territorio, ma anche in verticale tra le scuole e l’amministrazione, perché questo è ciò che al momento può fare la differenza nella massa critica del sistema scolastico.
Sono sempre più convinto che oggi la sfida, per niente facile o scontata, possa essere giocata a livello delle reti a patto però che queste non siano lasciate sole nella governance della coesione territoriale che dovrebbe, a partire, magari, da un meta-livello dell’autovalutazione interistituzionale (una sorta di Rav di rete e PdM di rete), in cui le scuole comincino a convergere su obiettivi di sviluppo educativo territoriale in un’ottica di complessità e unitarietà dei problemi e delle risorse. L’idea dell’organico dell’autonomia era un po’ anche questa, ma le soluzioni finora perseguite non sembra stiano producendo quel cambiamento culturale che ci si aspettava. Probabilmente perché si è inteso partire dalla coda invece che costruire, anzi, rifondare il sistema dalla testa. Ma quand’anche non fosse stato così e si tratti di ricercare soluzioni ancora nuove e inedite, l’importante è aprire un dibattito sulle questioni della governance della complessità del curricolo di scuola e di territorio, alla ricerca di strategie sostenibili del lavoro di innovazione da parte delle scuole, ma anche di significazione dei percorsi per gli studenti e per la massa degli studenti. In fin dei conti l’esperienza della rete Enis, pur con tutti i suoi limiti, ha avuto il pregio di tentare una strada, mettendo amministrazione e scuole in collegamento sulle questioni dell’innovazione. Insomma, anche se di fronte ad un problema di ordine pratico come quello dell’implementazione di progetti in vista della partecipazione al bando Pon sulle competenze di base, conviene interrogarci su questioni sistemiche e sulla necessità di costruire un ambiente interconnesso, cosicché anche il problema del recupero e del potenziamento diventi un problema metaistituzionale e quindi affrontato da un punto di vista senz’altro più idoneo al confronto con la complessità.
In questo senso più le risorse finanziarie, del PON ma non solo, anche quelle destinate, ad esempio, alla stessa valorizzazione professionale dei docenti (come già per la formazione) diventano un problema ma anche una leva per la rete, più si portano le questioni del miglioramento e del potenziamento ad un livello metaistituzionale e territoriale, più si consolidano i livelli di coesione e di unitarietà del sistema di istruzione, più si riesce a tenere sotto controllo i livelli di divaricazione a livello di comunità locale e globale. Così anche all’interno dello stesso curricolo di scuola perché lo si comincerebbe ad inquadrare in un’ottica di curricolo territoriale. Solo in questo modo, a mio avviso, si potrà affrontare in termini efficaci la complessità delle sfide che il curricolo e il curricolo per competenze ci pone (curricolo integrato, verticale, orientamento e didattica orientativa, valutazione autovalutazione dell’apprendimento), cominciando a guardare la questione del recupero delle competenze di base in un’ottica di promozione dell’unità nella diversità metodologica e organizzativa delle scuole.